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lunedì 10 febbraio 2014

Un tipo molto focoso

Sansone, un ragazzo focoso
Che Sansone non sia esattamente una personcina mite, ormai, lo abbiamo capito.
Finora ci sono divenute note alcune sue caratteristiche pregnanti: goloso, non schizzinoso, immune alle punture d'insetto, collerico, vendicativo.
Dato quello che stiamo per leggere nel capitolo 15 del libro dei Giudici, possiamo integrare questo elenco di mirabili virtù con un altro aggettivo: focoso, anzi molto focoso.
Alla fine del capitolo precedente, abbiamo lasciato il nostro eroe furioso perché la sua promessa sposa aveva rivelato agli amici Filistei il significato di un oscuro indovinello. Sansone se n'era quindi andato a sfogare la sua frustrazione ammazzando trenta persone e rubandone i mantelli.
Qualche tempo dopo, il  forzuto capelluto si ripresenta alla porta del mancato suocero: "Voglio andare nella camera da letto di mia moglie".
Il padre della ragazza è in chiara difficoltà: "Pensavo che tu non la volessi più, e perciò l'ho data in sposa al tuo amico. Ma c'è ancora la sua sorella più giovane che è anche più bella. Prendi lei per moglie".
Proposta allettante. Ma Sansone è uomo tutto d'un pezzo: "Questa volta non mi prendo la responsabilità di quello che farò ai Filistei!".
E' qui che il Giudice si rivela nella sua natura di uomo focoso, molto focoso.
"Andò a catturare trecento volpi, e prese delle torce. Legò le code delle volpi a due a due assieme a una torcia. Poi accese le torce e lasciò scappare le volpi per i campi dei Filistei. Così bruciò tutto il grano, sia quello già raccolto, sia quello ancora da tagliare; bruciarono anche vigne e uliveti".
Più che focoso, possiamo dire piromane.
Se vi può consolare, sappiate che è in ottima compagnia.
I Filistei chiedono chi sia stato ad appiccare questo devastante incendio e perché. Ottenuta la risposta "andarono dalla moglie di Sansone, e bruciarono lei e suo padre".
Quando si dice coerenza.
Potrebbe germogliare una splendida amicizia: un gruppo di simpaticoni che ogni settimana vanno in giro ad appiccare incendi spettacolari ed arrostire viva un po' di gente e un po' di bestie. Sai che divertimento? Sai le matte risate? Sai le grigliate succulente?
Peccato che Sansone se la sia legata al dito, e stronchi il sodalizio immediatamente.
"Li attaccò con grande furore e ne fece una strage. Poi andò ad abitare in una caverna, sotto la roccia di Etam".
Nel dubbio, io eviterei di allacciargli l'utenza alla rete del gas. Poi vedete voi.

lunedì 16 dicembre 2013

L'amor (poco)cortese

La moglie di Sansone pronta
per la consegna a domicilio
"Prendi una donna, trattala male", insegna il Teorema per diventare l'uomo che in amore non deve chiedere mai. Ma se l'uomo in questione è Sansone, allora può essere ancora più spiccio: "Prendi una donna". Punto e basta, finiamola li. Scegli tu!, come ci stanno inculcando in testa da mesi gli orripilanti spot della Vodafone (tra l'altro: ma sono solo io a trovare totalmente insensata, imbarazzante e improponibile una foca come testimonial?).
L'esordio del capitolo 14 del Libro dei Giudici descrive molto bene i lunghi rituali di corteggiamento previsti dall'amor (poco)cortese dell'epoca.
"Un giorno Sansone scese a Timna, e notò una ragazza filistea. Tornato a casa, disse a suo padre e a sua madre: Ho visto a Timna una ragazza filistea che mi ha colpito. Andate a prenderla, perché voglio sposarla". Pure la consegna a domicilio, esattamente come una cucina componibile all'Ikea: la scegli, te la fai portare a casa, e poi ti diverti a montarla.
Da notare che le rimostranze espresse dai genitori non sono per la commissione in sé, ma per il fatto che la cucina componibile-moglie ordinata dal figlio è filistea: "Essi non hanno nemmeno il rito della circoncisione!", commentano scandalizzati. Tra l'altro non vedo che differenza possa fare questo dettaglio parlando di una donna, a meno che Sansone non ne abbia scelta una 'diversamente accessoriata' a livello genitale. De gustibus.
Alla fine comunque lo stesso forzuto giovine decide di tornare a Timna per visionare nuovamente l'articolo. "Nei pressi della città, dove c'erano le vigne, un leone gli venne incontro ruggendo. Spinto dallo spirito del Signore, senza prendere niente in mano, squartò il leone come se fosse un capretto. Ma non disse ai suoi genitori quello che aveva fatto". In effetti, non mi sembra esattamente una di quelle imprese di cui vantarsi con la mamma.
"Poi andò a parlare alla ragazza ed essa gli piacque molto". Per il momento non la squarta con le sue stesse mani. Date le premesse, mi sembra già un atto di profonda e mirabile galanteria: Sansone, che gran romanticone...

lunedì 14 ottobre 2013

Mogli e buoi (e asini)

"Mogli e buoi dei paesi tuoi"?
Ibsan non rispetta il proverbio
Dopo averne ammazzati tanti durante i suoi sei anni da Giudice (si veda qui e qui), anche il sanguinario Iefte tira le cuoia. Gli succedono tre giudici di secondo piano, ai quali l'autore biblico dedica un piccolo paragrafo in tutto, alla fine del dodicesimo capitolo.
In effetti, il giudice "di mezzo" del terzetto non è memorabile. La sua esistenza può essere riassunta in un breve scioglilingua: Elon di Zabulon, sepolto ad Aialon. E si è detto tutto.
Qualche parola in più la meritano il suo predecessore e il suo successore.
Dopo Iefte venne Ibsan. Uomo indubbiamente dotato di valenti spermatozoi: ebbe trenta figli e trenta figlie. E uomo che se ne infischiava dei proverbi: "fece sposare le sue figlie a uomini di altri villaggi, e fece venire da fuori trenta ragazze da dare in moglie ai suoi trenta figli". Quanto ai buoi, non è dato sapere se fossero forestieri pure quelli o dei paesi suoi. Sospetto inoltre che si debba proprio a Ibsan l'invenzione del codice isbn per catalogare i nomi delle decine di generi, nuore e nipoti che lo circondarono, ma confesso che rimane una mia supposizione non suffragata dalle fonti bibliche.
Notevole anche l'efficacia riproduttiva di Abdon, il giudice successore di Elon: ebbe quaranta figli e trenta nipoti. In questo caso, nulla ci viene detto sulla nazionalità delle mogli, né degli eventuali buoi; in compenso si precisa che "ognuno di loro era padrone di un asino". 
Così, giusto per ricordarlo - come direbbero quelli di Mediaset.


lunedì 19 agosto 2013

Superhot chick

La figlia di Iefte: una
vera superhot chick
Gli americani hanno costumi lessicali spesso curiosi. La loro definizione più in voga per alludere ad una giovane pulzella alquanto gnocca è superhot chick, il cui calco letterale in italiano suonerebbe più o meno pollastrella rovente: espressione idiomatica che risveglia in me più appetiti da barbecue che appetiti sessuali, ma mi rendo conto che probabilmente è una deviazione tutta mia.
Tornando al testo biblico, direi che proprio questa bizzarra definizione americana calza alla perfezione se ci vogliamo riferire all'anonima e sventurata figlia di Iefte (Giudici, capitolo 11).
Il nuovo condottiero degli Israeliti, figlio di mignotta certificato, si mette all'opera per recuperare i territori sottratti dagli Ammoniti. A nulla vale un primo tentativo di risolvere la questione pacificamente tramite gli ambasciatori: Israeliti e Ammoniti si ritengono entrambi legittimi proprietari della regione contesa, rifacendosi a quanto tramandato dai rispettivi antenati, e non si vede alternativa al conflitto.
Prima di partire per la battaglia, Iefte fa un voto al Signore: "Se mi farai vincere gli Ammoniti, quando tornerò dalla vittoria, destinerò a te e brucerò come sacrificio la prima creatura che uscirà di casa mia per venirmi incontro".
Mi pare evidente che il cane di casa gli stia altamente sulle balle, e Iefte stia cercando un pretesto per potersene liberare.
Ottenuta un'agevole vittoria bellica, così scontata che i bookmaker dell'epoca avevano proibito le scommesse, il nostro Giudice se ne torna bel bello alla sua casetta di Mizpa. Immagino fosse tutto contento all'idea di poter finalmente dare alle fiamme quell'insopportabile barboncino scodinzolante. Magari con due patate e mezzo litro di Chianti, ne poteva uscire anche una cenetta apprezzabile.
Imprevedibilmente, però, "gli uscì incontro sua figlia, danzando al suono del tamburello".
Amica, fossi in te comincerei a mettere giù il tamburello.
"Era la sua unica figlia [...]. Appena la vide, Iefte, disperato, si stracciò i vestiti - per la gioia della sarta, ndr - e gridò: Figlia mia! tu mi spezzi il cuore. Perché devi essere proprio tu la causa di un grande dolore? Io ho fatto una solenne promessa al Signore, e ora non posso tirarmi indietro".
La fanciulla non fa una piega. "Padre mio, se ti sei impegnato così davanti al Signore, fai di me come hai promesso. [...] Concedimi solo questo: lasciami libera per due mesi. Me ne andrò con le mie compagne per i monti a piangere perché muoio senza essermi sposata".
Cioè, Ciccia, fammi capire: tuo padre ti ha appena detto che ti brucerà viva, e  per te il vero dramma è che non ti sei ancora sposata?
Pare proprio di sì.
"Lei andò per i monti con le sue compagne e pianse perché doveva morire senza marito e senza figli. Dopo due mesi tornò da suo padre. Egli fece quello che aveva promesso al Signore, e lei morì ancora vergine".
Arrostita viva senza nemmeno un moto di ribellione: questa sì che è una vera superhot chick!

mercoledì 15 maggio 2013

Il bastardo

Come potremmo definire Abimelech?
Ai figli nati all'infuori dal matrimonio, in genere, non sono riservati epiteti particolarmente gentili. Nel migliore dei casi vengono definiti "illegittimi".
Ecco, un figlio illegittimo lo ha avuto anche Gedeone. Come ci viene spiegato alla fine del capitolo 8 del libro dei Giudici, lo ha generato con un'innominata concubina che abitava a Sichem, e gli ha imposto - poverino - il nome di Abimelech.
Illegittimo sì, unigenito no. L'arzillo Gedeone non si è certo risparmiato: degno epigono dei primi patriarchi della Genesi, ci ha dato dentro fino in tarda età, ed è serenamente morto circondato dall'affetto di altri settanta figli legittimi. Chissà come si regolavano per i turni in bagno alla mattina.
Una volta passato a miglior vita l'anziano padre, Abimelech pensa bene di trasformare la sua "illegittimità" da svantaggio in vantaggio. "Andò a Sichem, dove viveva la famiglia di sua madre, e suggerì a tutti i suoi parenti di fare ai ricchi proprietari della città questa proposta: Che cosa sarebbe meglio per voi? Avere come capi i settanta figli di Gedeone o averne uno solo? Ricordatevi che solo Abimelech è del vostro stesso sangue".
L'argomentazione è convincente: "presero settanta pezzi d'argento dal tempio di Baal-Berit e glieli consegnarono". Abimelech sa già come investirli: organizza una banda di vagabondi e avventurieri disposti a seguirlo.
Dove andrà mai, quest'allegra combriccola? Magari cominciano a girare il mondo cantando Help e Ticket To Ride...
Purtroppo no.
"Andò a Ogra, nella casa di suo padre, e massacrò i settanta figli di Gedeone tutti sulla stessa pietra. Di essi si salvò solo il più piccolo, Iotam, che si era nascosto. Tutti i proprietari di Sichem e tutta Bet-Millo si radunarono e si recarono alla quercia della Stele che si trova in città. Là proclamarono re Abimelech".
Altro che illegittimo. Mi si passi il francesismo, ma questo è a tutti gli effetti un bastardo figlio di troia.
Con affetto, gli dedico un immortale brano della premiata ditta Stadio-Lucio Dalla.


giovedì 29 novembre 2012

Da nipotina a sposina

La nipotina Acsa e lo zio Otniel:
un matrimonio ben assortito
L'amore carnale con una nipote, ai nostri giorni, non sarebbe propriamente considerato 'cosa buona e giusta' da parte di uno zio. Abbiamo già visto, però, che ai tempi della Bibbia riguardo all'incesto e alle relazioni familiari c'erano usi e costumi decisamente meno restrittivi. Una nuova riprova ci viene dal primo capitolo del Libro dei Giudici.
Le varie tribù del popolo d'Israele sembrano fare a gara per completare la conquista della Terra Promessa. Una vera e propria corsa a premi, con tanto di incentivi.
Caleb, della tribù di Giuda, mette in palio la mano - e a dirla tutta non solo quella - di sua figlia: "A chi assalirà e conquisterà la città di Debir, darò in sposa mia figlia Acsa".
Che, ovviamente, non ha alcuna possibilità di esprimersi in merito.
Chi sarà il fortunato? "La città fu conquistata da Otniel, figlio di Kenaz, fratello minore di Caleb, e Caleb gli diede in moglie Acsa". Sì, insomma: lo zietto, il fratello del padre, si piglia come sposa la nipotina. La quale, a questo punto, o è tanto bella che sarebbe un peccato doverla condividere con un'altra famiglia, o è tanto brutta che tutti gli estranei si guardano bene dal rischiare la pellaccia per sposarla. Fate voi.
Per quanto riguarda la dote, Otniel evita di chiedere alcunché al fratello: manda sempre avanti la nipotina-mogliettina, sperando che con i suoi occhioni dolci convinca il paparino a mollare qualcosa. Chiamalo scemo.
"Otniel aveva convinto Acsa a chiedere a suo padre un pezzo di terra. Il giorno delle nozze Acsa scese dall'asino e Caleb le domandò cos'altro voleva. Rispose: Fammi ancora un regalo. La terra che mi hai dato si trova in un luogo arido: lasciami qualche sorgente d'acqua. Allora il padre le regalò anche due sorgenti vicine al campo".
Le premesse di questo matrimonio mi sembrano ottime. L'autore biblico non ci racconta come prosegue.
Personalmente, sospetto che il giorno successivo Otniel si svegliò di buon mattino, piazzò la dolce Acsa sull'asinello, e la mandò ad arare ed irrigare quel pezzettino di terra che le aveva regalato il padre; nel frattempo lui rimase a casetta, intento ad arieggiarsi il deretano con il ventaglio.

venerdì 24 febbraio 2012

Rolling Stones

Rolling Stones: di moda tra gli Israeliti
Non so proprio come sarebbe andata ai Beatles, ma so per certo che i Rolling Stones avrebbero avuto un gran successo presso gli Israeliti al seguito di Mosè.
Avevano il nome perfetto per sfondare: le "pietre in continuo movimento", infatti, erano di gran moda a quell'epoca. Lo avevamo già capito, ma il Deuteronomio anche in questo caso riprende e amplia il concetto con dovizia di dettagli.
C'è sempre un buon motivo per una lapidazione di massa. Oltre al caso già citato di un familiare che disgraziatamente decida di seguire un'altra religione, vi sono altri fortunati candidati ad essere sepolti da una simpatica montagnola di sassi:
- un figlio testardo e ribelle, che non ubbidisce ai genitori nemmeno se lo castigano. "Allora suo padre e sua madre lo prenderanno e lo condurranno dagli anziani della città, di fronte al tribunale. Essi diranno: Questo nostro figlio è testardo e ribelle; non vuole ubbidirci, è pieno di vizi e ubriacone. Allora tutti gli uomini della sua città lo faranno morire a sassate". Severo ma giusto.
- una ragazza che il marito, la prima notte di nozze, scopre non essere vergine. "I genitori mostreranno agli anziani il panno con le tracce di sangue della notte nuziale. [...] Ma se non c'è prova che la ragazza è vergine, allora la condurranno all'ingresso della casa del padre, e la gente della sua città la farà morire a sassate". I panni sporchi non si lavano in casa, anzi: al bisogno, si mostrano in pubblico.
- chi è dedito alle scappatelle amorose. "Se un uomo sarà sorpreso a dormire con una donna sposata, tutti e due dovranno morire: l'uomo e la donna". Finalmente la parità tra i sessi!. E ancora: "Se un uomo trova in città una ragazza fidanzata a un altro e dorme con lei, li condurrete all'ingresso della città e li farete morire tutti e due a sassate". E chissenefrega se avete dormito insieme senza combinare nulla. Dura lex, sed lex. Anche quando si parla di sex.
Prendere a sassate chi ci mette le corna: questa sì, che è satisfaction!...

lunedì 16 gennaio 2012

La famigghia

Matrimoni obbligatori "in famiglia"
per le figlie ereditiere israelite
La via dell'emancipazione femminile, che si intravvede qua e là in questi primi libri della Bibbia, è tortuosa e irta di ostacoli.
Il Signore aveva appena concesso un'apertura significativa, disponendo che in  mancanza di figli maschi l'eredità potesse passare alle femmine, ma nel giro di pochi capitoli (al 36mo e ultimo dei Numeri) assistiamo ad una decisa marcia indietro.
I fratelli di Zelofcad, l'uomo senza eredi maschi, protestano vibratamente: "Se le sue figlie sposeranno un uomo di un'altra tribù d'Israele, la loro parte sarà staccata dalla nostra tribù e andrà ad aggiungersi al territorio della nuova tribù alla quale apparterranno".
Evidentemente, lo stesso Dio che s'incazza se qualcuno si lamenta perché sta morendo di fame, ritiene invece giustificate le rimostranze sulle questioni di eredità. Infatti, interrogato a questo proposito da Mosè, gli risponde immediatamente: "Hanno ragione. Ecco quindi quel che ordina il Signore a riguardo delle figlie di Zelofcad: esse potranno sposare l'uomo che vorranno, ma a condizione che egli appartenga a un gruppo della loro tribù paterna".
Regola subito estesa in linea generale a tutti i casi di "eredità al femminile", a quanto pare senza alcun tipo di rimostranza nemmeno da parte delle dirette interessate. "Le figli e di Zelofcad ubbidirono all'ordina dato dal Signore a Mosè: Macla, Tirza, Ogla, Milca e Noa si sposarono con dei cugini, figli dei loro zii paterni".
I tempi sono ancora prematuri perché le donne rivendichino l'effettiva libertà affettiva e sessuale: l'utero è loro, ma lo gestisce la famigghia. Vedremo se qualcosa cambierà leggendo il prossimo libro: dopo i Numeri, tocca al Deuteronomio, il quinto della Bibbia, ultimo della Torah.

giovedì 15 dicembre 2011

Promesse da marinaie

Una tipica donna israelita
Ci si può fidare della promessa di una donna? Dio non ne pare particolarmente convinto: il sospetto è che se la sia legata al dito ancora ai tempi di Eva, la mangiamele proibite a tradimento che ci ha fatti sfrattare dal Paradiso Terrestre.
Ecco perché, d'autorità, il Signore decide che le promesse delle donne valgono solo fino al parere contrario dell'uomo che le ha in "tutela": se il maschio dispone diversamente, la promessa di una femmina decade all'istante.
La norma è esplicitata con tanto di esempi pratici al capitolo 30 dei Numeri: "Supponiamo invece questo caso: una ragazza, che vive ancora in casa di suo padre, fa una promessa al Signore o si impegna a qualche rinunzia. Se suo padre non le fa obiezioni quando viene a saperlo, allora essa deve mantenere i suoi impegni. Ma se, al contrario, il giorno stesso che ne è informato, il padre si oppone, allora tutte le sue promesse e i suoi impegni non hanno più valore. Il Signore riterrà la ragazza sciolta dal suo obbligo, perché suo padre le ha impedito di mantenere le sue promesse".
L'identico discorso vale per una fanciulla che faccia una promessa e poi si sposi (se il voto della neo-moglie non sta bene al neo-marito, si autodistrugge all'istante come un messaggio segreto per James Bond), e a maggior ragione per una moglie che s'impegni a fare o non fare qualcosa all'insaputa del marito. Le promesse delle donne israelite, dunque, sono per legge delle promesse da marinaie, in balia dei maremoti che possono essere provocati dai pensieri tempestosi del loro uomo: solo a lui Dio concede l'autorità per lasciarle galleggiare o farle affondare.
Se non altro il maschio, dal momento in cui viene a conoscenza dell'esistenza del voto, ha meno di 24 ore di tempo per pensarci: se non si esprime entro la fine di quel giorno, la promessa della donna rimane valida.  Un "diritto di recesso" piuttosto breve, direi: oggi perlomeno abbiamo 7 giorni lavorativi  per decidere di rispedire al mittente le sei confezioni di pillole superdimagranti o il set da 36 coltelli miracolosi acquistati d'impulso guardando una televendita...
C'è comunque un'eccezione che consente alla donna di essere libera e padrona delle sue promesse: basta che sia vedova o divorziata. Una volta di più, molto meglio sole, che male accompagnate.

sabato 9 luglio 2011

Le relazioni pericolose

Questo sì, questo no:
il sesso come piace a Dio
Che gli israeliti e gli altri popoli dell'epoca fossero sessualmente irrefrenabili, birichini, promiscui,  infedeli e sostanzialmente privi di tabù, lo abbiamo già capito più volte leggendo la Genesi (se avete qualche dubbio o curiosità al riguardo, date pure un occhio qui, quiquiqui e qui).
Del resto, senza sport, giornali, libri, cinema, radio, computer o televisione, bisognava pur divertirsi in qualche modo. Dio però pare averne abbastanza di vedere il suo popolo progredire nella scienza dell'accoppiamento casuale, acrobatico e sperimentale, quindi fissa una serie di paletti invalicabili. Così, dopo avere ribadito nel capitolo 17 del Levitico che è assolutamente vietato mangiare il sangue (il primo avvertimento in questo senso lo aveva già dato alla fine del diluvio), nel capitolo 18 scende nei dettagli per spiegare quali frequentazioni sessuali vanno bollate come perversioni assolutamente proibite.
Inizia il lungo periodo clandestino per gli appassionati dell'incesto, che pure finora avevano vissuto un'era di allegra spensieratezza. La pacchia è finita, amici cari: "Non dovete disonorare vostro padre mediante relazioni con vostra madre, perché così disonorate anche lei". Ineccepibile. Noi contemporanei avremmo piuttosto qualcosa da ridire sul divieto seguente, che conferma la diffusa pratica della poligamia, già incontrata ad esempio con l'harem di Giacobbe: "Non dovete avere relazioni con un'altra donna di vostro padre: sarebbe questa un'offesa all'onore di vostro padre".
Vengono dichiarate fuorilegge anche le relazioni con le sorellastre, le nipoti, le figlie di un'altra donna del padre, le sorelle della madre, le zie paterne, le nuore, le cognate.
Nessuna parola riguardo alle cugine, quindi dateci pure dentro - ma sceglietevele bone.
Occhio però alle "combinazioni" vietate: se vi date ai piaceri della carne con una donna, scordatevi la doppietta con sua figlia o sua nipote "perché esse sono parenti prossimi, e questo sarebbe una pratica immorale". E' proibito anche farvi un giro con la sorella di vostra moglie - ma Dio tiene a sottolineare che il divieto vale solo "fintanto che è viva, perché ciò rischierebbe di provocare delle liti": queste donne nevrotiche che se la prendono per ogni sciocchezza...
Arriva inesorabile la mannaia per i gay maschi: "Non dovete avere relazioni sessuali con un uomo come si hanno con una donna: è una pratica mostruosa". Sembrano salve, al momento, le lesbiche.
Game over, infine, per gli amanti degli animali (e non intendo quelli con la tessera del WWF): "Non dovete avere relazioni con una bestia, perché questo vi renderebbe impuri; così nessuna donna deve accoppiarsi con un animale: è una perversione".
La lista nera si ferma qui. Cosa succederà a chi trasgredisce? Non è chiarissimo, ma la minaccia di Dio suona piuttosto inquietante: "Le genti che hanno abitato il territorio prima di voi hanno commesso queste azioni vergognose, e la loro terra è diventata impura. Non rendetela di nuovo impura, affinché essa non vi vomiti, come ha vomitato i vostri predecessori". Fatico a immaginare cosa capiti concretamente quando si viene vomitati dalla terra, ma nel dubbio vedo di trombare sempre e solo in maniera divinamente lecita.

martedì 1 marzo 2011

La morte del Padrino

Giacobbe, un Padrino in vita e in morte
L'uguaglianza tra gli uomini è una mera utopia. Non nasciamo tutti nelle stesse condizioni, non viviamo tutti allo stesso modo, e coerentemente nemmeno quando tocca lasciare questo mondo lo facciamo tutti alla stessa maniera. C'è morte e morte. E quella di Giacobbe, che di fatto chiude il primo libro della Bibbia, ovvero la Genesi, è senz'altro una morte extralusso, degna di un vero Padrino.
Che Giacobbe fosse un tipo al di sopra della massa, del resto, lo si era già ampiamente capito (vedi questo post e i successivi). Lo conferma l'accoglienza trionfale che riceve in Egitto da parte del faraone (capitolo 47), che lo tratta con grande deferenza perché è il padre del suo stimatissimo viceré, Giuseppe: il vecchio patriarca, i suoi figli, nuore e nipoti possono stabilirsi a loro piacere nel territorio di Gosen, il più fertile dell'Egitto, dove conducono un'esistenza serena e florida.
A 147 anni suonati, Giacobbe sente che ormai la sua lunga vita sta giungendo al termine. Convoca quindi il suo prediletto Giuseppe per esprimergli le sue ultime volontà: "Metti ora la tua mano sotto la mia coscia e promettimi che non mi seppellirai in Egitto". Chiariamo subito a scanso di equivoci: questa storia della mano sotto la coscia, che letta così suona come un inquietante approccio sessuale, pare sia semplicemente un gesto che nella cultura giudaica dell'epoca accompagnava i giuramenti solenni. E in effetti Giuseppe, tastandogli le cosce, giura al padre che lo seppellirà nel sepolcro dei suoi antenati, ricevendo in cambio la benedizione paterna. Ma è solo la prima delle benedizioni ante-mortem del Padrino: la seconda (capitolo 48) è riservata ai figli di Giuseppe, Manasse ed Efraim. Dimostrandosi ancora scaltro nonostante l'età e la malattia, Giacobbe decide deliberatamente di incrociare le mani, impartendo la sua benedizione con la destra (la più importante) al nipote minore Efraim anziché al maggiore Manasse: in questo modo rinnova a due generazioni di distanza quello che lui stesso era riuscito a fare "rubando" al fratello maggiore Esaù la benedizione del babbo Isacco (vedi qui).
Per finire in grande stile (capitolo 49), Giacobbe convoca quindi tutti i suoi 12 figli, a ciascuno dei quali riserva un breve verso che è una via di mezzo tra una benedizione e una profezia alla Nostradamus, gravida di metafore e allusioni: particolarmente curiosi i pensieri rivolti a Giuda ("Sei come un giovane leone che ha ucciso la sua preda e torna alla sua tana, come una leonessa sdraiata e accovacciata: chi oserà farti alzare?"), Issacar ("E' come un asino robusto gravato dalle ceste") e Beniamino ("E' come un lupo rapace che al mattino caccia le prede e alla sera divide le spoglie"). Roberto Giacobbo, illuminaci tu!
Una volta esalato l'ultimo respiro, Giacobbe viene imbalsamato (specialità della casa: ecco il vantaggio di morire in Egitto...), e in tutto il Paese si proclama un lutto di 70 giorni, al termine dei quali Giuseppe guida il corteo funebre per andare a seppellirlo in Palestina, come aveva giurato: oltre ai fratelli, lo accompagnano tutti i dignitari dell'Egitto, i funzionari del faraone, carri da guerra e cavalieri. Il Padrino Giacobbe è morto e sepolto.
Il suo erede, Giuseppe, muore a 110 anni, viene a sua volta imbalsamato ma il suo corpo rimane in un sarcofago in Egitto, senza essere portato nella terra dei suoi padri come avrebbe voluto. Poco da fare, il vero Padrino è uno solo. La Genesi è finita. Avanti con l'Esodo, per chi avrà tempo e voglia di seguirmi...

venerdì 25 febbraio 2011

Carràmba che Scherzi a Parte!

Giuseppe escogita uno show
che merita un Telegatto ad memoriam
Giuseppe è decisamente un tizio che sa vedere oltre. Non solo perché predice il futuro interpretando i sogni, ma anche perché, duemila anni e passa prima dell'era catodica, si dimostra uno straordinario autore di format televisivi ante litteram: riesce infatti a creare uno show che sintetizza alla perfezione due tra i programmi di maggior successo nazional-popolare negli ultimi 20 anni di tv italiana, Carràmba che Sorpresa! condotto dalla Carrà (8 edizioni tra il 1995 e il 2008) e Scherzi a Parte di Fatima Ruffini (11 edizioni tra il 1992 e il 2009).
Carràmba che Scherzi a Parte!, ideato, scritto, interpretato e diretto da Giuseppe con l'inconsapevole partecipazione dei suoi fratelli (special guest star l'anziano babbo Giacobbe), va in onda tra i capitoli 42 e 46 della Genesi. Siamo nei sette anni di carestia che interessano tutto il Medioriente. Grazie alle indicazioni di Giuseppe (vedi post precedente), però, in Egitto si sono accumulate derrate in quantità industriale nei sette anni di abbondanza precedenti, quindi adesso tutti vanno dal faraone a comprare grano. Ci vanno anche 10 tra gli 11 fratelli di Giuseppe, figli di Giacobbe, che però tiene con sé a Canaan il giovane Beniamino: è l'unico figlio nato dall'amata moglie Rachele che può ancora  abbracciare, visto che Giuseppe era stato venduto dai fratelli molti anni prima, dicendo al padre che era stato sbranato dalle belve (vedi qui). Arrivati in Egitto, i fratelli non possono riconoscere Giuseppe, che ora ha 30 anni ed è il potente viceré. Lui invece capisce benissimo chi sono, e scatta lo scherzo - prima di proseguire la lettura, si consiglia di premere Play sul filmato per migliorare l'effetto.
Fingendo di non sapere chi sono, Giuseppe li accusa di essere spie e li sbatte in prigione per tre giorni. Poi propone loro un patto: potranno tornare dalle loro famiglie con il grano per sfamarle; tuttavia, a prova della loro onestà, lasceranno lì come ostaggio uno di loro (Simeone), e torneranno nuovamente in Egitto anche con quello che è rimasto a casa (Beniamino). Ai fratelli non resta che accettare, ma quando tornano da Giacobbe scoprono che dentro i sacchi con il grano qualcuno - ma chi sarà stato?!? - ha infilato anche il denaro con cui lo avrebbero dovuto pagare: "Poveri noi, il viceré penserà che lo abbiamo pure derubato!" - grande disperazione loro, risatissime del pubblico.
Superate le resistenze di Giacobbe, dato che la carestia continua, dopo un po' corrono il rischio di tornare in Egitto, stavolta portando anche Beniamino. Con loro grande sorpresa, nessuno li accusa per quella storia del denaro nei sacchi, anzi vengono invitati a pranzo dal potente viceré. E qui, per la prima volta, lo Scherzo lascia il posto alla Carrambàta (dal dizionario Devoto-Oli, 2008 -sic!!!-: "incontro inatteso con una o più persone con le quali si erano persi i contatti"), con Giuseppe che si commuove e deve andare a piangere di nascosto quando finalmente rivede Beniamino, il suo unico fratellino di sangue.
Ma lo Scherzo continua. Superato e dissimulato il magone, il viceré porta a termine la cena in allegria come se nulla fosse. Il giorno dopo, fa ripartire i fratelli con i sacchi pieni di grano. Ancora una volta, però, fa infilare al loro interno il denaro; in più, nel sacco di Beniamino, fa nascondere dai suoi servi una preziosa coppa d'argento. Quando sono partiti da un po', Giuseppe li fa inseguire dalle guardie, che intimano loro di vuotare i sacchi. Il viceré allora gioca il jolly: "E se per caso qualcuno si è preso la mia bellissima coppa, rimarrà schiavo con me". A sacchi aperti, i fratelli sgomenti non possono che stracciarsi le vesti disperati, convinti di essere stati puniti da Dio. Giuda, a questo punto, si riscatta: proprio lui, che anni prima aveva concordato il prezzo per la vendita di Giuseppe, adesso lo prega di prendere lui come schiavo al posto di Beniamino, perché altrimenti il vecchio Giacobbe morirebbe di dolore.
E' venuto il momento di svelare le telecamere nascoste: Giuseppe rivela ai fratelli la propria identità, tra pianti e abbracci di gruppo in perfetto stile Carràmba - anche in questo caso, consiglio di far partire il filmato prima di concludere la lettura, ovviamente avendo l'accortezza di fermare prima l'insopportabile musichetta di Scherzi a Parte...

Una lacrima dopo l'altra, lo show tocca il suo apice quando Giuseppe fa trasferire da lui in Egitto tutti i fratelli con le rispettive famiglie (in tutto 70 persone). La Sorpresa delle Sorprese merita di essere annunciata dalla Carrà in persona, forse alle prese con il più straordinario degli oltre 250 ricongiungimenti familiari (veri o presunti) che ha presentato: "E da Canaan, anche il vecchio babbo Giacobbe... è quiiiiii!".
La battuta del genitore 130enne, quando finalmente riabbraccia il figlio così a lungo rimpianto, è da Antologia della tv del pianto: "Ti ho riveduto e so che sei vivo. Ora posso anche morire".
Una confezione formato famiglia di fazzoletti Scottex per noi, un Telegatto ad memoriam strameritato per Giuseppe e il suo Carramba che Scherzi a Parte!.

lunedì 24 gennaio 2011

Più pilu per tutti

L'eredità di Giacobbe: questione di pilu
Non c'è che dire, l'argomento è di gran moda. Nei giorni in cui scrivo questo post, Antonio Albanese spopola al cinema con il suo Cetto La Qualunque, esilarante pseudo (ma neanche tanto pseudo...) politico che si accattiva il voto popolare promettendo Più pilu per tutti. Nel frattempo i giornali e i telegiornali sono invasi dai resoconti delle allegre feste a base di pilu che allietano le serate del più amato dagli italiani, altrimenti - sembrerebbe - abbandonato ad una noia sconfortante.
Che pilu e potere siano fortemente interconnessi non lo scopriamo certo oggi. Anche la Genesi, in modo singolare, tratta l'argomento. Siamo al capitolo 25 quando per la prima volta conosciamo i figli di Isacco e Rebecca, i gemelli Esaù e Giacobbe. Nascere per primi, in questo libro, non porta granché culo: come Caino non era stato considerato da Dio, che invece guardava con benevolenza Abele (da lì il raptus di gelosia che aveva portato il maggiore ad uccidere il minore ed essere per sempre additato come 'quello cattivo'), anche il primogenito Esaù avrà un destino decisamente più sfigato del fratello nato solo pochi minuti dopo, ma divenuto da subito il cocco di mamma Rebecca.
La caratteristica che contraddistingue Esaù è quello di essere coperto di peli come se avesse un mantello (pare che anche il nome, in ebraico, rimandi a qualcosa di simile). Questo aspetto animalesco schifa un po' la mamma - come darle torto? - e poco importa se al contrario il papà Isacco prende in simpatia questo fagottino peloso: come la Genesi - e la vita quotidiana - ci insegnano, alla fine il potere decisionale del marito, in una coppia, è più apparente che reale.
Esaù, del resto, si dimostra fin da subito un sempliciotto piuttosto tonto e inadatto a ricoprire ruoli di prestigio: cede al fratello i suoi diritti di primogenito per un piatto di pane e lenticchie. Aveva fame, e allo stomaco non si comanda. Non stupisce allora che la premiata ditta Giacobbe & Rebecca - due tipi scaltri e con pochi scrupoli di coscienza - metta nel sacco senza alcuna difficoltà lui e il vecchio Isacco, ormai cieco, quando si tratta di benedire l'erede. E qui è tutta questione di pilu: Giacobbe si 'traveste' da Esaù ricoprendosi dei vestiti del fratello e della pelle di due capretti. La mammina premurosa prepara per lui un pranzetto coi fiocchi alla Cotto & Mangiato, pronto da portare in regalo a Isacco. L'inganno del padre Isacco si consuma così in modalità polisensoriale: appagato nel gusto, il vecchio cieco,  tradito dal tatto e dall'olfatto, toccando e annusando Giacobbe si convince che sia in effetti Esaù e lo benedice solennemente come suo unico e legittimo erede. Impareggiabile la sfacciataggine del giovanotto quando rassicura il papà sulla sua identità: "Sei veramente mio figlio Esaù?"; "Certo!" - e qui Giacobbe si volta verso l'obiettivo della macchina da presa strizzando furbescamente l'occhiolino, tipico scugnizzo che ha imparato l'arte di arrangiarsi nei bassi napoletani. Da notare, ancora una volta, il fatalismo del capofamiglia che quando scopre l'inganno se ne lava bellamente le mani: "Padre, benedici anche me!", lo supplica Esaù; "Tuo fratello è venuto con un inganno e ti ha rubato la benedizione"; "Ma  tu padre, hai una sola benedizione? Benedici anche me!". Niente da fare: il pilu finto di Giacobbe ha ormai irrimediabilmente spodestato quello vero di Esaù. Mi piace pensare che, per consolarsi, il fratello maggiore abbia prenotato una seduta dall'estetista.

lunedì 17 gennaio 2011

Di razza corre cavallo

Abraham e Homer Simpson: tale padre, tale figlio
Tutti risentiamo dell'imprinting familiare. I nostri comportamenti, la nostra scala di valori, il nostro modo di pensare, di parlare e di agire è fortemente influenzato dagli esempi che ci sono stati forniti quotidianamente da genitori e parenti fin da quando eravamo bambini.
Non è un caso se mia mamma, quando mi rimprovera per il disordine o la testardaggine, accompagna  la lamentela specifica ad un ritornello invariabile e immancabile: Te sì compagno de to pare! (Sei identico a tuo padre!). Al che, altrettanto immancabilmente, mio padre risponde sornione: Cossa vuto farghe, de razza corre cava'eo... (Che ci vuoi fare, di razza corre cavallo...), come a dire che da un cavallo poco addomesticabile non può che nascere un cavallo poco addomesticabile.
Allo stesso modo i discendenti di Abramo, protagonisti dei capitoli seguenti della Genesi, si confermano suoi eredi perfetti in tutto e per tutto: puledri abramiti di razza purosangue.
Isacco, figlio di cotanto padre, prosegue l'ottima tradizione di prendersi una moglie bona (Rebecca), che inevitabilmente è anche una sua cugina, e che comunque non ha problemi a spacciare come sua sorella pur di non essere ucciso da altri pretendenti - esattamente come aveva fatto Abramo: vedi qui. Si raggiunge quasi un effetto Cinepanettone con il re di Gerar, Abimelech, nel ruolo di uno sfigatissimo Massimo Boldi: proprio lui, che qualche anno prima si era convinto di potersi spupazzare la bonazza Sara, pensando che fosse la sorella e non la moglie di Abramo, adesso per lo stesso motivo fa un pensierino anche a Rebecca, la bonazza di seconda generazione, restando però ancora una volta a bocca asciutta.
Si conferma poi la tradizione di inventare nomi fantasiosi per gli eredi della famiglia - per ricordare com'è iniziata, vedi qui. Giusto qualche esempio preso qua e là: i fratelli Uz & Buz (si direbbe una coppia di minacciosi rapper del Bronx), qualche ideale progenitore dei Gormiti (Idlas, Betuel e Zocar), una pasticciera specializzata in cioccolatini al latte (Milca), un romano sempre di fretta (Core), un tipo molto focoso (Arde) una coppia di comici siciliani buoni per Zelig (Samma & Mizza), un tizio con un nome da colluttorio (Ioksan), uno da grande magazzino (Uppim), una da supermercato (Bila), uno che avrebbe potuto fare il pilota (Massa), e una che poteva candidarsi alle presidenziali USA (Oolibama).
Oltre alle abitudini, si trasmettono alle generazioni successive anche gli inossidabili geni degli highlander - vedi qui. Quando nasce Isacco, Abramo ha 100 anni tondi, sua moglie Sara è primipara a 90; lei morirà ancora giovane (a 127), quindi lui giustamente si consolerà, si risposerà (con Chetura) e avrà nuovi figli da lei e da altre donne, prima di morire felice a 175 anni. Non stupisce allora che Isacco campi 180 anni. Come dice sempre mio papà, di razza corre cavallo. In quale dinastia dei nostri tempi questo proverbio conferma maggiormente la sua validità? Potete esprimere una preferenza utilizzando il sondaggio nella colonna di destra.