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martedì 1 marzo 2011

La morte del Padrino

Giacobbe, un Padrino in vita e in morte
L'uguaglianza tra gli uomini è una mera utopia. Non nasciamo tutti nelle stesse condizioni, non viviamo tutti allo stesso modo, e coerentemente nemmeno quando tocca lasciare questo mondo lo facciamo tutti alla stessa maniera. C'è morte e morte. E quella di Giacobbe, che di fatto chiude il primo libro della Bibbia, ovvero la Genesi, è senz'altro una morte extralusso, degna di un vero Padrino.
Che Giacobbe fosse un tipo al di sopra della massa, del resto, lo si era già ampiamente capito (vedi questo post e i successivi). Lo conferma l'accoglienza trionfale che riceve in Egitto da parte del faraone (capitolo 47), che lo tratta con grande deferenza perché è il padre del suo stimatissimo viceré, Giuseppe: il vecchio patriarca, i suoi figli, nuore e nipoti possono stabilirsi a loro piacere nel territorio di Gosen, il più fertile dell'Egitto, dove conducono un'esistenza serena e florida.
A 147 anni suonati, Giacobbe sente che ormai la sua lunga vita sta giungendo al termine. Convoca quindi il suo prediletto Giuseppe per esprimergli le sue ultime volontà: "Metti ora la tua mano sotto la mia coscia e promettimi che non mi seppellirai in Egitto". Chiariamo subito a scanso di equivoci: questa storia della mano sotto la coscia, che letta così suona come un inquietante approccio sessuale, pare sia semplicemente un gesto che nella cultura giudaica dell'epoca accompagnava i giuramenti solenni. E in effetti Giuseppe, tastandogli le cosce, giura al padre che lo seppellirà nel sepolcro dei suoi antenati, ricevendo in cambio la benedizione paterna. Ma è solo la prima delle benedizioni ante-mortem del Padrino: la seconda (capitolo 48) è riservata ai figli di Giuseppe, Manasse ed Efraim. Dimostrandosi ancora scaltro nonostante l'età e la malattia, Giacobbe decide deliberatamente di incrociare le mani, impartendo la sua benedizione con la destra (la più importante) al nipote minore Efraim anziché al maggiore Manasse: in questo modo rinnova a due generazioni di distanza quello che lui stesso era riuscito a fare "rubando" al fratello maggiore Esaù la benedizione del babbo Isacco (vedi qui).
Per finire in grande stile (capitolo 49), Giacobbe convoca quindi tutti i suoi 12 figli, a ciascuno dei quali riserva un breve verso che è una via di mezzo tra una benedizione e una profezia alla Nostradamus, gravida di metafore e allusioni: particolarmente curiosi i pensieri rivolti a Giuda ("Sei come un giovane leone che ha ucciso la sua preda e torna alla sua tana, come una leonessa sdraiata e accovacciata: chi oserà farti alzare?"), Issacar ("E' come un asino robusto gravato dalle ceste") e Beniamino ("E' come un lupo rapace che al mattino caccia le prede e alla sera divide le spoglie"). Roberto Giacobbo, illuminaci tu!
Una volta esalato l'ultimo respiro, Giacobbe viene imbalsamato (specialità della casa: ecco il vantaggio di morire in Egitto...), e in tutto il Paese si proclama un lutto di 70 giorni, al termine dei quali Giuseppe guida il corteo funebre per andare a seppellirlo in Palestina, come aveva giurato: oltre ai fratelli, lo accompagnano tutti i dignitari dell'Egitto, i funzionari del faraone, carri da guerra e cavalieri. Il Padrino Giacobbe è morto e sepolto.
Il suo erede, Giuseppe, muore a 110 anni, viene a sua volta imbalsamato ma il suo corpo rimane in un sarcofago in Egitto, senza essere portato nella terra dei suoi padri come avrebbe voluto. Poco da fare, il vero Padrino è uno solo. La Genesi è finita. Avanti con l'Esodo, per chi avrà tempo e voglia di seguirmi...

venerdì 25 febbraio 2011

Carràmba che Scherzi a Parte!

Giuseppe escogita uno show
che merita un Telegatto ad memoriam
Giuseppe è decisamente un tizio che sa vedere oltre. Non solo perché predice il futuro interpretando i sogni, ma anche perché, duemila anni e passa prima dell'era catodica, si dimostra uno straordinario autore di format televisivi ante litteram: riesce infatti a creare uno show che sintetizza alla perfezione due tra i programmi di maggior successo nazional-popolare negli ultimi 20 anni di tv italiana, Carràmba che Sorpresa! condotto dalla Carrà (8 edizioni tra il 1995 e il 2008) e Scherzi a Parte di Fatima Ruffini (11 edizioni tra il 1992 e il 2009).
Carràmba che Scherzi a Parte!, ideato, scritto, interpretato e diretto da Giuseppe con l'inconsapevole partecipazione dei suoi fratelli (special guest star l'anziano babbo Giacobbe), va in onda tra i capitoli 42 e 46 della Genesi. Siamo nei sette anni di carestia che interessano tutto il Medioriente. Grazie alle indicazioni di Giuseppe (vedi post precedente), però, in Egitto si sono accumulate derrate in quantità industriale nei sette anni di abbondanza precedenti, quindi adesso tutti vanno dal faraone a comprare grano. Ci vanno anche 10 tra gli 11 fratelli di Giuseppe, figli di Giacobbe, che però tiene con sé a Canaan il giovane Beniamino: è l'unico figlio nato dall'amata moglie Rachele che può ancora  abbracciare, visto che Giuseppe era stato venduto dai fratelli molti anni prima, dicendo al padre che era stato sbranato dalle belve (vedi qui). Arrivati in Egitto, i fratelli non possono riconoscere Giuseppe, che ora ha 30 anni ed è il potente viceré. Lui invece capisce benissimo chi sono, e scatta lo scherzo - prima di proseguire la lettura, si consiglia di premere Play sul filmato per migliorare l'effetto.
Fingendo di non sapere chi sono, Giuseppe li accusa di essere spie e li sbatte in prigione per tre giorni. Poi propone loro un patto: potranno tornare dalle loro famiglie con il grano per sfamarle; tuttavia, a prova della loro onestà, lasceranno lì come ostaggio uno di loro (Simeone), e torneranno nuovamente in Egitto anche con quello che è rimasto a casa (Beniamino). Ai fratelli non resta che accettare, ma quando tornano da Giacobbe scoprono che dentro i sacchi con il grano qualcuno - ma chi sarà stato?!? - ha infilato anche il denaro con cui lo avrebbero dovuto pagare: "Poveri noi, il viceré penserà che lo abbiamo pure derubato!" - grande disperazione loro, risatissime del pubblico.
Superate le resistenze di Giacobbe, dato che la carestia continua, dopo un po' corrono il rischio di tornare in Egitto, stavolta portando anche Beniamino. Con loro grande sorpresa, nessuno li accusa per quella storia del denaro nei sacchi, anzi vengono invitati a pranzo dal potente viceré. E qui, per la prima volta, lo Scherzo lascia il posto alla Carrambàta (dal dizionario Devoto-Oli, 2008 -sic!!!-: "incontro inatteso con una o più persone con le quali si erano persi i contatti"), con Giuseppe che si commuove e deve andare a piangere di nascosto quando finalmente rivede Beniamino, il suo unico fratellino di sangue.
Ma lo Scherzo continua. Superato e dissimulato il magone, il viceré porta a termine la cena in allegria come se nulla fosse. Il giorno dopo, fa ripartire i fratelli con i sacchi pieni di grano. Ancora una volta, però, fa infilare al loro interno il denaro; in più, nel sacco di Beniamino, fa nascondere dai suoi servi una preziosa coppa d'argento. Quando sono partiti da un po', Giuseppe li fa inseguire dalle guardie, che intimano loro di vuotare i sacchi. Il viceré allora gioca il jolly: "E se per caso qualcuno si è preso la mia bellissima coppa, rimarrà schiavo con me". A sacchi aperti, i fratelli sgomenti non possono che stracciarsi le vesti disperati, convinti di essere stati puniti da Dio. Giuda, a questo punto, si riscatta: proprio lui, che anni prima aveva concordato il prezzo per la vendita di Giuseppe, adesso lo prega di prendere lui come schiavo al posto di Beniamino, perché altrimenti il vecchio Giacobbe morirebbe di dolore.
E' venuto il momento di svelare le telecamere nascoste: Giuseppe rivela ai fratelli la propria identità, tra pianti e abbracci di gruppo in perfetto stile Carràmba - anche in questo caso, consiglio di far partire il filmato prima di concludere la lettura, ovviamente avendo l'accortezza di fermare prima l'insopportabile musichetta di Scherzi a Parte...

Una lacrima dopo l'altra, lo show tocca il suo apice quando Giuseppe fa trasferire da lui in Egitto tutti i fratelli con le rispettive famiglie (in tutto 70 persone). La Sorpresa delle Sorprese merita di essere annunciata dalla Carrà in persona, forse alle prese con il più straordinario degli oltre 250 ricongiungimenti familiari (veri o presunti) che ha presentato: "E da Canaan, anche il vecchio babbo Giacobbe... è quiiiiii!".
La battuta del genitore 130enne, quando finalmente riabbraccia il figlio così a lungo rimpianto, è da Antologia della tv del pianto: "Ti ho riveduto e so che sei vivo. Ora posso anche morire".
Una confezione formato famiglia di fazzoletti Scottex per noi, un Telegatto ad memoriam strameritato per Giuseppe e il suo Carramba che Scherzi a Parte!.

martedì 22 febbraio 2011

Giuseppe l'acchiappasogni

Giuseppe è il giovane 'mago' dei sogni
Harry Potter non è stato il primo giovane mago di successo della storia. Anche il giovane Giuseppe, pur sprovvisto di bacchetta, vanta un potere soprannaturale: è in grado di interpretare i sogni. Un dono divino che gli risulta provvidenziale per essere liberato dalla prigione in cui lo aveva rinchiuso Potifar su richiesta della Stronza (vedi post precedente).
La sua abilità si rivela quando predice correttamente il futuro di due servi del faraone, suoi compagni di cella. Entrambi hanno fatto un sogno che non comprendono (Genesi, capitolo 40), ma Giuseppe non ha problemi a interpretarli: "Tra tre giorni tu verrai liberato e tornerai al tuo lavoro", rivela al primo; "Tra tre giorni il faraone ti farà tagliare la testa, farà appendere il tuo cadavere a un palo e gli uccelli beccheranno la tua carne", predice al secondo. Glielo spiega così, tranquillo, professionale, senza reticenze e senza commenti. Almeno "Mi dispiace" non ci stava male. Fatto sta che tre giorni dopo uno torna al suo lavoro, l'altro finisce morto e straziato.
Tempo dopo, è il faraone stesso che fa un sogno bizzarro e rimane sbigottito: vede sette vacche grasse pascolare vicino al Nilo, seguite da sette vacche magre; poi sogna sette spighe di grano rigogliose vicine a sette spighe striminzite. Nessuno, tra gli indovini e i sapienti d'Egitto, riesce a fornirgli un'interpretazione plausibile (persino il Divino Mago Otelma sarebbe indignato per tanta incapacità). Allora il servo che era in carcere si ricorda di quando Giuseppe era riuscito a predirgli correttamente il futuro, e suggerisce al faraone di convocarlo.
Giuseppe l'acchiappasogni avverte il faraone che l'Egitto è atteso da sette anni di grande prosperità e raccolti abbondanti, ai quali seguiranno però sette anni di carestia assoluta. Il re è soddisfatto, anzi, più che soddisfatto: poiché Giuseppe gode evidentemente del benvolere di Dio, lo nomina suo vice e gli affida l'amministrazione di tutto l'Egitto, in maniera da prepararlo adeguatamente ai sette anni di carestia durante i sette di abbondanza. Il neo-viceré, appena trentenne, decide che è il momento migliore per prendere moglie: sposa Asenat, figlia di un sacerdote, e in breve mette al mondo due figlioli, Manasse ed Efraim.
Chissà cosa direbbero, vedendolo adesso, i fratelli che quand'era ancora bambino lo hanno venduto per 20 pezzi d'argento come schiavo... Con piglio da romanziere, l'autore biblico si prepara a raccontarcelo.

giovedì 17 febbraio 2011

Femmine scaltre per maschi babbei/2: La Stronza incastra Giuseppe

Mai dire di no a una così:
Mrs Potifar diventa La Stronza
Rifiutare le avances di una bella gnocca non sembra un'ottima idea. Se poi la bella gnocca in questione è anche la moglie del 'vice-faraone', l'idea si rivela pessima. Lo scopre, a sue spese, il malcapitato Giuseppe, che evidentemente all'epoca non aveva avuto modo di guardarsi Il Laureato con Dustin Hoffman. Peggio per lui. Avrebbe capito che una bella donna potente e rifiutata, si chiami Mrs Robinson o Mrs Potifar, diventa più temibile di una tigre ferita.
Giuseppe, figlio di Giacobbe, era stato venduto dai suoi amorevoli fratelli agli Ismaeliti, che avevano subito incassato la plusvalenza girandolo a Potifar, braccio destro del faraone d'Egitto (vedi qui). Nel capitolo 39 della Genesi ritroviamo un Giuseppe in ascesa: Potifar capisce che è in gamba, gli affida l'amministrazione di tutti i suoi beni, ed è pure - testuale - "ben fatto e affascinante". Un giovane rampante con un futuro radioso davanti, insomma. Tanto è vero che Mrs Potifar, l'innominata moglie del suo padrone, gli mette gli occhi addosso. "Vieni, vieni con me!" - gli ripete ossessivamente ogni giorno. L'utilizzatore finale, quando è una donna, non ha bisogno del Lele Mora di turno: si procaccia autonomamente la materia prima per il bunga bunga.
Il giovinotto però è irremovibile: "No, non posso tradire il mio padrone, che mi tratta così bene". Un rifiuto espresso a parole, che si conferma anche quando si passa ai fatti. Un giorno Giuseppe entra in casa di Potifar e trova ad accoglierlo la moglie sola soletta, che senza tanti preamboli lo tira per la tunica. Neanche stavolta l'aitante ragazzone cede, anzi fugge tutto ignudo, facendosi strappare la veste di dosso. E' a questo punto che Mrs Potifar, ferita nell'orgoglio da un rifiuto così bruciante, assume le sembianze de La Stronza.
Emette un urletto da premio Oscar e chiama i servi: "Lo schiavo ebreo che mio marito ci ha portato in casa voleva spassarsela con noi! Si è avvicinato per unirsi a me, ma io mi sono messa a gridare. Allora ha abbandonato la sua tunica vicino a me ed è scappato".
Sì, siamo d'accordo, proprio una stronza. Appunto. Quando Potifar lo viene a sapere, con tanto di tunica come prova, non può che fare arrestare Giuseppe e sbatterlo in prigione.
Secondo voi, con quale frase di saluto lo avranno accolto i compagni di cella? Scegliete la più opportuna utilizzando il sondaggio sulla colonna di destra.

domenica 13 febbraio 2011

Femmine scaltre per maschi babbei/1: Tamar frega Giuda

Donne scaltre come Tamar: il vero 'sesso forte' nella Genesi
Solo formalmente le donne che incontriamo nella Genesi sono sottomesse agli uomini. In realtà, alla fine della fiera, i maschi spesso ci fanno la figura dei babbei, e i loro destini vengono rigirati e riordinati a proprio piacimento dalle femmine come calzini appena usciti dalla lavatrice.
I capitoli 38 e 39 ci offrono due nuovi esempi significativi di donne scaltre che mettono nel sacco uomini ingenui, degne eredi di EvaSara, e Rebecca: a salire agli onori delle cronache stavolta sono Tamar e l'innominata moglie di Potifar (che data la sua simpatia, per brevità, chiameremo in seguito La Stronza).
Tamar è la nuora di Giuda, il fratello di Giuseppe che lo ha venduto agli Ismaeliti per 20 pezzi d'argento - come sappiamo, un altro Giuda qualche secolo dopo venderà Gesù per 30 monete d'argento: inflazione bastarda. Tamar non ha molta fortuna con i mariti. Giuda prima le fa sposare il suo primogenito Er, ma lui non si comporta bene e Dio lo fa morire. Per risarcire la vedova, Giuda allora manda il secondogenito Onan a sostituire il fratello maggiore; Onan però non ha granché desiderio di paternità, quindi ad ogni rapporto pensa bene di disperdere a terra lo sperma. Dio non approva e fa morire anche lui (lettori affezionati al 'salto della quaglia', siete avvisati). Temendo che sposare Tamar porti sfiga e che anche il terzo figlio, ancora ragazzino, possa fare una brutta fine, Giuda a questo punto prende tempo: "Tamar, resta vedova finché il mio terzo figlio, Sela, non crescerà. Solo allora te lo farò sposare". Sela cresce, ma Giuda fa finta di dimenticarsi la promessa. Tamar, però, non dimentica e medita vendetta. Qualche anno dopo, viene a sapere che Giuda passa dalle sue parti a comprare pecore: si traveste da prostituta (cioè si mette una specie di burqa, che evidentemente all'epoca era tipico di chi esercitava la professione) e adesca l'ignaro suocero, che ovviamente non la riconosce. Visto che non ha denaro per pagare subito, come garanzia Giuda le lascia sigillo, cordone e bastone; Tamar glieli restituirà quando lui pagherà il compenso pattuito, ovvero una botta per un capretto (mi pare equo). Giuda più tardi manda un amico con il capretto a saldare il debito, ma nel frattempo Tamar se n'è andata, portandosi con sé sigillo, cordone e bastone. Neanche a dirlo, è rimasta incinta del suocero. Qualche tempo dopo qualcuno riferisce a Giuda che sua nuora, nonostante sia vedova e non risposata, esibisce una pancia sospetta; il vecchio si dimostra comprensivo: "Che sia bruciata viva!". Ma Tamar sfodera la sua arma segreta: "Sono incinta, è vero, dell'uomo al quale appartengono questi oggetti. Guarda bene!". A Giuda non resta che ammettere la sconfitta: "Il torto è mio, perché non l'ho data in moglie a mio figlio Sela". Per la cronaca, il vecchio così poco dopo si ritrova così a dover sfamare due nuovi gemelli: Perez e Zerach. Ma il vero mistero è: perché Dio non ha fatto morire anche Giuda? Il metro di giudizio del Signore nella Genesi rimane del tutto indecifrabile.

giovedì 10 febbraio 2011

Vendesi fratello disperatamente

1.200 dollari per un nero,
20 pezzi d'argento per Giuseppe
I fratelli, nella Genesi, non si amano granché. La consuetudine, abbiamo visto, è quella di rivaleggiare, odiarsi, ammazzarsi e fregarsi a vicenda. Come già Caino e Abele, come Ismaele e Isacco, come Esaù e Giacobbe, anche tra i dodici figli di Giacobbe il rapporto è tutt'altro che di amore fraterno.
Non aiuta il fatto che Giuseppe sia il primo figlio avuto già in tarda età dalla moglie Rachele, la più bella e la più amata, mentre gli altri erano arrivati dalla sorella racchia Lia o dalle concubine (vedi qui). Ma aiuta ancora meno il fatto che Giuseppe assuma un'aria spocchiosa da primo della classe. A 17 anni (capitolo 37) inizia a pascolare i greggi con i fratellastri, e per renderseli subito amici pensa bene di fare la spia con Giacobbe, andandogli a riferire a fine giornata le cattiverie che gli altri figli dicono alle sue spalle. Per di più il giovinotto, di notte, sogna in grande, e di giorno lo riferisce con entusiasmo ai fratellastri: "Ragazzi, che sogno! Stavamo mietendo il grano, e il mio covone si è alzato più in alto di quello di tutti, mentre i vostri si sono inchinati davanti al mio"; e ancora: "Il sole, la luna e undici stelle si chinavano fino a terra dinanzi a me... che bel sogno, non trovate?". No, non trovano; anzi s'incazzano. Di brutto.
Giuseppe non sarà Mister Simpatia, ma la vendetta pare uno zinzinello esagerata. Un bel giorno, quando lo vedono arrivare da lontano al pascolo, i fratelli decidono in quattro e quattr'otto di ucciderlo e gettare il cadavere in una cisterna. Fortuna che Ruben, il maggiore, ha un rimorso di coscienza, e li convince a limitarsi a farlo cadere in una cisterna vuota nel deserto, senza ammazzarlo, magari per andarlo a riprendere dopo un po'.
Detto fatto, Giuseppe finisce nella cisterna in perfetto stile anonima sequestri sarda. Quando Ruben, il bonaccione, non c'è, passa di lì una carovana di Ismaeliti diretti in Egitto. A questo punto è Giuda (e che nome poteva avere, del resto, il traditore?) ad escogitare la vendita del fratello: Giuseppe come schiavo agli Ismaeliti in cambio di 20 pezzi d'argento. L'argomentazione di Giuda è convincente: "Invece di fargli del male, vendiamolo; dopotutto fa parte della nostra famiglia". Direi che non fa una grinza (pare di risentire il discorso di Lot sulle figlie a Sodoma).
Fratello antipatico fuori dai piedi per sempre, soldi guadagnati, nessun cadavere sulla coscienza: tutto è bene quel che finisce bene. Già, ma a Giacobbe adesso chi lo dice? "L'esempio ce lo ha dato proprio lui, fregando Esaù e Isacco: adesso saremo noi a fregarlo!". I fratelli scannano un capretto, bagnano le vesti di Giuseppe con il sangue, e le mandano al padre con un messaggio (forse un post-it? L'autore biblico non specifica): Abbiamo trovato questa veste: vedi se è quella di tuo figlio. Il vecchio si convince così che Giuseppe sia stato sbranato da una belva e si dispera inconsolabilmente.
Il piano dei fratelli sembra riuscito alla perfezione. Non sanno, però, che nel frattempo, in Egitto, Giuseppe  è già stato  rivenduto dai suoi primi acquirenti a Potifar, il braccio destro del faraone...


sabato 5 febbraio 2011

Giacobbe for president/3: il boss del business

Giacobbe, un Gordon Gekko ante litteram
Scaltro, determinato, pronto a cogliere al volo l'opportunità e a servirsi di ogni mezzo per raggiungere i suoi intenti. Giacobbe, quando si tratta di affari, non ha niente da invidiare a Gordon Gekko, il Michael Douglas re di Wall Street (regia di Oliver Stone) che nel 1988 si meritò anche un premio Oscar.
Ogni epoca ha la sua valuta pregiata: come Gekko accumula milioni di dollari, Giacobbe accumula greggi su greggi di pecore e capre, schiave, schiavi, cammelli e asini, togliendoli a suo zio Labano.
Il testo del capitolo 30 della Genesi non è chiarissimo, ma tra le righe si capisce che lo scaltro nipote escogita un ingegnoso trucchetto, ovviamente sempre con la complicità di Dio. In pratica, ad un certo punto Giacobbe si era accordato per spartirsi i capi di bestiame con Labano: allo zio quelli tutti bianchi, a lui quelli con una macchia o una striatura. Il furbacchione, però, nota che i caproni e i pecoroni maschi, quando vanno in calore, si abbeverano frequentemente (forse per raffreddare i bollenti spiriti? L'autore non chiarisce). Se in quell'acqua Giacobbe intinge un ramo di pioppo, i nuovi nati presentano sempre una striatura o una macchia, e dunque spettano a lui. Miracolo? Stregoneria? Ingegneria genetica? Vallo a sapere. Fatto sta che Giacobbe, quando vede avvicinarsi dei maschioni belli tosti, prepara il ramo di pioppo nell'acqua; se invece i maschi sono rachitici, lascia perdere. Risultato: in qualche anno i suoi greggi striati e macchiati sono sempre più numerosi e robusti, mentre a Labano restano solo quattro bestiacce spelacchiate e magroline. A quel punto, intuendo che a Labano e ai suoi figli cominciano a girare gli zebedei, Giacobbe se ne scappa in tutta fretta con mogli, concubine, schiavi e greggi, sempre protetto dall'occhio benevolo di Dio. Con un palo così, anche il colpo più audace può andare a segno.
Giacobbe si conferma un ottimo affarista anche quando ritorna dal fratello Esaù, al quale aveva rifilato una colossale fregatura una ventina di anni prima (vedi qui). Un regalo sostanzioso può accomodare anche le questioni più antipatiche: Giacobbe lo sa bene, e per ingraziarsi il fratello si fa precedere dai suoi servi che gli portano come 'contentino' da parte sua qualcosa come 200 capre, 20 capri, 200 pecore, 20 montoni, 30 cammelle allattanti con i loro piccoli, 40 mucche, 10 tori, 20 asine, 10 asini. Direi che gli estremi per la corruzione ci sono tutti.
Ma un boss come si deve, all'occorrenza, sa anche essere spietato. Quando sua figlia Dina viene violentata dal principe Sichem, figlio di re Camor, Giacobbe reagisce da perfetto padrino siculo. Lui e i suoi figli all'inizio lasciano correre, anzi fingono di accordarsi con Sichem e Camor: "Voi e i vostri concittadini maschi vi fate tutti circoncidere, ci date la giusta dote, e noi combiniamo il matrimonio tra Sichem e Dina da amici". I grulli accettano. Tre giorni dopo la circoncisione di massa, però, approfittando della debolezza post-intervento al prepuzio dei sichemiti, Simeone e Levi, figli di Giacobbe, entrano a spada sguainata nella città tranquilla, uccidono tutti i maschi, saccheggiano le case e prendono come bottino tutto quello che trovano, compresi donne e bambini. Persino Giacobbe solleva il dubbio: "Ma non avete un po' esagerato?". La risposta dei fratelli è lapidaria: "Non si tratta nostra sorella come una prostituta". Ci manca solo un bel minchia! finale.
In sintesi, rileggendo anche i post precedenti, non possiamo che confermare come Giacobbe sia il nostro candidato ideale, un modello vincente da ammirare, prendere ad esempio e votare perché ci rappresenti. Quale, secondo voi, il suo insegnamento più importante? Rispondete utilizzando il sondaggio sulla colonna di destra.

mercoledì 2 febbraio 2011

Giacobbe for president/2: l'harem

Paghi 2, prendi 4:
 l'harem in saldo di Giacobbe
Di questi tempi, un puttaniere - ah no, adesso si dice utilizzatore finale - ha diverse modalità di pagamento per reclutare ragazze formose con le quali ravvivare il proprio harem: contanti, appartamenti, auto, appalti, posti da soubrette in tv o da consigliere regionale. Basta avere un po' di fantasia. Anche ai tempi di Giacobbe era usanza comune pagare per avere una donna, a cominciare dalla moglie.
Quando arriva dallo zio Labano per fuggire all'ira funesta del fratello Esaù (Genesi, capitolo 29), Giacobbe però non ha denaro o animali con i quali acquistare la bella cugina Rachele. Non gli resta che sgobbare: "Lavorerò per sette anni per te per sposare Rachele, tua figlia minore"; Labano approva, l'accordo è definito. Ovviamente, nessuno si sogna di chiedere il parere alla diretta interessata. Giacobbe però non tiene conto che Labano è fratello di sua madre Rebecca, la santa donna che lo ha aiutato a fregare Isacco e il fratello Esaù (vedi qui). Stavolta è lui ad essere raggirato: la notte della festa di nozze, Labano al posto della figlia bonazza gli manda nella tenda Lia, la sorella maggiore e racchia di Rachele. Ovviamente Giacobbe si accorge dell'inganno solo quando si fa giorno. Ne deduciamo che: a) Giacobbe non è fisionomista; b) quella notte faceva davvero buio pesto e non avevano candele; c) alla fine, Lia non sarà stata tanto bona, ma sotto le lenzuola non faceva rimpiangere la sorella. E' proprio a questo punto che Giacobbe dimostra il suo grandioso fiuto per gli affari, e porta a casa una vantaggiosa offerta 2 per 1: prima si finge indignato con lo zio, che si giustifica spiegando che "in questo paese non c'è l'usanza di dare in sposa la figlia minore se la maggiore non è sposata" (dirlo prima no, eh?); quindi accetta di buon grado il rilancio di Labano: "Porta a termine questa settimana di festa nuziale, poi lavora per me altri sette anni e io ti darò in moglie anche Rachele".
Il vero affare è che, allo scadere dei sette anni, Giacobbe si ritrova a godere di un'eccezionale offerta 4 per 2: oltre alle sorelle Lia e Rachele, infatti, nel pacchetto ci sono anche le rispettive schiave Bila e Zilpa. Un vero e proprio harem 'in saldo', insomma. Il bello è che il Sultano Giacobbe non ci fa neanche la figura dello sfruttatore: lui vorrebbe amare solo Rachele, sono gli eventi a costringerlo a sacrificarsi anche con tutte le altre... Lia - abbiamo visto - gli è stata imposta da Labano come prelazione obbligatoria per la sorella minore. La maggiore, grazie al benvolere di Dio, si rivela una formidabile macchina da figli: in poco tempo ne sforna quattro (Ruben, Simeone, Levi, Giuda). Rachele è sterile, gelosa e triste, quindi invita Giacobbe ad unirsi alla sua schiava Bila: il marito accetta di buon grado, ed ecco altri due pargoli (Dan e Neftali). Contrattacco di Lia, che mette sotto la sua schiava Zilpa: con lei, l'instancabile Giacobbe, ormai un 'forzato' del sesso e della figliolanza, genera Gad e Aser.
Ma il bello deve ancora venire. Da acquirente, Giacobbe si ritrova acquistato per una notte di sesso. Il suo prezzo, a dire il vero, è abbastanza svilente: altro che sette anni di lavoro, una semplice manciata di mandragole, erbe miracolose che davano fertilità. Le aveva trovate Ruben, il primo figlio di Lia; Rachele, pur di poterle utilizzare ed avere un figlio tutto suo, dice alla sorella-rivale: "Tu dammi le mandragole di tuo figlio, io ti faccio passare la notte con Giacobbe". Fantastica la scena in cui si chiarisce una volta per tutte come Giacobbe, ormai, sia solo uno strumento di piacere e di potere alla mercè delle mogli: "La sera, quando Giacobbe se ne tornava dai campi, Lia gli andò incontro e gli disse: Devi venire con me perché io ti ho comprato pagandoti con le mandragole di tuo figlio." Nessuna risposta, resa incondizionata. Risultato: altri tre figli da Lia (Issacar per questa notte pattuita; si vede però che il pagamento è stato rateizzato, perché in seguito arriveranno anche Zabulon e Dina) e finalmente, grazie alle mandragole e a Dio - pure lui, immagino, preso per sfinimento - anche due figli da Rachele (Giuseppe e, diversi anni più tardi, Beniamino, che le causò la morte di parto).
Il totale complessivo della contabilità sessuale-prolifica di Giacobbe è di 12 figli da 4 donne diverse. Non stupisce che il primogenito Ruben, una volta cresciuto, decida di inaugurare la propria attività amatoria "avendo rapporti sessuali con Bila, la concubina di suo padre". Per un mestiere così difficile e sfibrante com'è stato per il babbo, meglio allenarsi fin da giovani con una trainer di comprovata esperienza.

venerdì 28 gennaio 2011

Giacobbe for president/1: il cocco di mamma

Giacobbe ed Esaù: solo uno è il cocco di Rebecca
Peccato che Giacobbe sia morto e sepolto da qualche migliaio di anni. Date le attitudini che ne emergono nel racconto biblico (Genesi, capitoli 28-35), avrebbe tutte le carte in regola per presentarsi come candidato premier alle prossime elezioni politiche in Italia e sbaragliare la concorrenza.
Se abbiamo imparato qualcosa dalla storia recente del nostro Paese, infatti, è che un candidato riesce ad ottenere il favore della gente e a guadagnare più consensi se:

  1. è il 'cocco di mamma', legato a lei da un rapporto di amore e complicità speciali;
  2. dispone di un ampio harem che ravviva il suo estro sessuale anche negli anni della vecchiaia;
  3. è un uomo ricco che si è fatto da solo;
  4. sa abilmente utilizzare queste ricchezze per accomodare rapporti con amici e nemici;
  5. si dichiara vittima degli eventi da lui stesso causati;
  6. applica alla perfezione la massima machiavellica - il fine giustifica i mezzi - non facendosi problemi a raggirare e turlupinare parenti, soci in affari, capi di stato, purché alla fine si salvino le apparenze e lui ne esca vincitore, più ricco, più potente e giustificato.

Tutte doti che Giacobbe dimostra di possedere, indimenticabile protagonista di Una Storia Italiana - pardon, palestinese... - troppo lunga per essere riassunta in un unico post. Ma andiamo con ordine. Abbiamo già visto come fin da subito Giacobbe piaccia decisamente di più a mamma Rebecca rispetto al peloso e puzzolente gemello maggiore Esaù, tanto che la donna escogita un piano grazie al quale l'eredità del padre Isacco viene destinata al suo cocco anziché al primogenito (vedi qui). Esaù sarà anche caprone, ma fin lì ci arriva: quando scopre di essere stato fregato, s'incazza e giura vendetta tremenda vendetta. Rebecca, per salvare la pelle al suo prediletto, invita allora Giacobbe a fuggire in Mesopotamia, trovando rifugio presso il caro zio Labano, fratello di lei. Ma non sta bene che sembri una fuga: cosa direbbe la gente? Salviamo le apparenze, per carità! Ancora una volta è il vecchio e cieco Isacco a essere manovrato inconsapevolmente dall'astuta moglie: grande sceneggiata di Rebecca ("A causa delle donne ittite sposate da Esaù ho perso il gusto di vivere. Se anche Giacobbe prende in moglie una Ittita, preferisco morire!" confida fintamente disperata al marito) e lui, bonaccione, per farla contenta ordina al figlio: "Va' in Mesopotamia, alla casa di Betuel, tuo nonno materno, e prendi in moglie una ragazza di là, una figlia di Labano, fratello di tuo padre" - ormai l'abbiamo capito: non c'è cosa più divina che sposarsi la cugina (meglio se bona). Così Giacobbe, come tremenda punizione per aver fregato eredità e benedizione paterna a Esaù, si becca un'altra benedizione e l'obbligo di andare in vacanza all'estero dallo zio ricco per scegliersi una cugina bona da sposare. Giustizia è fatta, mi pare evidente. Eppure, incomprensibilmente, Esaù ha ancora da ridire: quando assiste alla scena, ci resta pure male... Per consolarsi e guadagnare punti agli occhi di Isacco e Rebecca, il pelosone stavolta prova ad imitare il fratello: va da un altro zio, Ismaele, e si sposa la cugina Macalat, oltre due alle mogli ittite che già aveva. Ma il suo piccolo e improvvisato harem non gli basterà per diventare il candidato ideale; come vedremo nel post successivo, Giacobbe anche in fatto di donne e  poligamia farà di meglio e si confermerà il vero ed unico predestinato al successo.

lunedì 24 gennaio 2011

Più pilu per tutti

L'eredità di Giacobbe: questione di pilu
Non c'è che dire, l'argomento è di gran moda. Nei giorni in cui scrivo questo post, Antonio Albanese spopola al cinema con il suo Cetto La Qualunque, esilarante pseudo (ma neanche tanto pseudo...) politico che si accattiva il voto popolare promettendo Più pilu per tutti. Nel frattempo i giornali e i telegiornali sono invasi dai resoconti delle allegre feste a base di pilu che allietano le serate del più amato dagli italiani, altrimenti - sembrerebbe - abbandonato ad una noia sconfortante.
Che pilu e potere siano fortemente interconnessi non lo scopriamo certo oggi. Anche la Genesi, in modo singolare, tratta l'argomento. Siamo al capitolo 25 quando per la prima volta conosciamo i figli di Isacco e Rebecca, i gemelli Esaù e Giacobbe. Nascere per primi, in questo libro, non porta granché culo: come Caino non era stato considerato da Dio, che invece guardava con benevolenza Abele (da lì il raptus di gelosia che aveva portato il maggiore ad uccidere il minore ed essere per sempre additato come 'quello cattivo'), anche il primogenito Esaù avrà un destino decisamente più sfigato del fratello nato solo pochi minuti dopo, ma divenuto da subito il cocco di mamma Rebecca.
La caratteristica che contraddistingue Esaù è quello di essere coperto di peli come se avesse un mantello (pare che anche il nome, in ebraico, rimandi a qualcosa di simile). Questo aspetto animalesco schifa un po' la mamma - come darle torto? - e poco importa se al contrario il papà Isacco prende in simpatia questo fagottino peloso: come la Genesi - e la vita quotidiana - ci insegnano, alla fine il potere decisionale del marito, in una coppia, è più apparente che reale.
Esaù, del resto, si dimostra fin da subito un sempliciotto piuttosto tonto e inadatto a ricoprire ruoli di prestigio: cede al fratello i suoi diritti di primogenito per un piatto di pane e lenticchie. Aveva fame, e allo stomaco non si comanda. Non stupisce allora che la premiata ditta Giacobbe & Rebecca - due tipi scaltri e con pochi scrupoli di coscienza - metta nel sacco senza alcuna difficoltà lui e il vecchio Isacco, ormai cieco, quando si tratta di benedire l'erede. E qui è tutta questione di pilu: Giacobbe si 'traveste' da Esaù ricoprendosi dei vestiti del fratello e della pelle di due capretti. La mammina premurosa prepara per lui un pranzetto coi fiocchi alla Cotto & Mangiato, pronto da portare in regalo a Isacco. L'inganno del padre Isacco si consuma così in modalità polisensoriale: appagato nel gusto, il vecchio cieco,  tradito dal tatto e dall'olfatto, toccando e annusando Giacobbe si convince che sia in effetti Esaù e lo benedice solennemente come suo unico e legittimo erede. Impareggiabile la sfacciataggine del giovanotto quando rassicura il papà sulla sua identità: "Sei veramente mio figlio Esaù?"; "Certo!" - e qui Giacobbe si volta verso l'obiettivo della macchina da presa strizzando furbescamente l'occhiolino, tipico scugnizzo che ha imparato l'arte di arrangiarsi nei bassi napoletani. Da notare, ancora una volta, il fatalismo del capofamiglia che quando scopre l'inganno se ne lava bellamente le mani: "Padre, benedici anche me!", lo supplica Esaù; "Tuo fratello è venuto con un inganno e ti ha rubato la benedizione"; "Ma  tu padre, hai una sola benedizione? Benedici anche me!". Niente da fare: il pilu finto di Giacobbe ha ormai irrimediabilmente spodestato quello vero di Esaù. Mi piace pensare che, per consolarsi, il fratello maggiore abbia prenotato una seduta dall'estetista.

lunedì 17 gennaio 2011

Di razza corre cavallo

Abraham e Homer Simpson: tale padre, tale figlio
Tutti risentiamo dell'imprinting familiare. I nostri comportamenti, la nostra scala di valori, il nostro modo di pensare, di parlare e di agire è fortemente influenzato dagli esempi che ci sono stati forniti quotidianamente da genitori e parenti fin da quando eravamo bambini.
Non è un caso se mia mamma, quando mi rimprovera per il disordine o la testardaggine, accompagna  la lamentela specifica ad un ritornello invariabile e immancabile: Te sì compagno de to pare! (Sei identico a tuo padre!). Al che, altrettanto immancabilmente, mio padre risponde sornione: Cossa vuto farghe, de razza corre cava'eo... (Che ci vuoi fare, di razza corre cavallo...), come a dire che da un cavallo poco addomesticabile non può che nascere un cavallo poco addomesticabile.
Allo stesso modo i discendenti di Abramo, protagonisti dei capitoli seguenti della Genesi, si confermano suoi eredi perfetti in tutto e per tutto: puledri abramiti di razza purosangue.
Isacco, figlio di cotanto padre, prosegue l'ottima tradizione di prendersi una moglie bona (Rebecca), che inevitabilmente è anche una sua cugina, e che comunque non ha problemi a spacciare come sua sorella pur di non essere ucciso da altri pretendenti - esattamente come aveva fatto Abramo: vedi qui. Si raggiunge quasi un effetto Cinepanettone con il re di Gerar, Abimelech, nel ruolo di uno sfigatissimo Massimo Boldi: proprio lui, che qualche anno prima si era convinto di potersi spupazzare la bonazza Sara, pensando che fosse la sorella e non la moglie di Abramo, adesso per lo stesso motivo fa un pensierino anche a Rebecca, la bonazza di seconda generazione, restando però ancora una volta a bocca asciutta.
Si conferma poi la tradizione di inventare nomi fantasiosi per gli eredi della famiglia - per ricordare com'è iniziata, vedi qui. Giusto qualche esempio preso qua e là: i fratelli Uz & Buz (si direbbe una coppia di minacciosi rapper del Bronx), qualche ideale progenitore dei Gormiti (Idlas, Betuel e Zocar), una pasticciera specializzata in cioccolatini al latte (Milca), un romano sempre di fretta (Core), un tipo molto focoso (Arde) una coppia di comici siciliani buoni per Zelig (Samma & Mizza), un tizio con un nome da colluttorio (Ioksan), uno da grande magazzino (Uppim), una da supermercato (Bila), uno che avrebbe potuto fare il pilota (Massa), e una che poteva candidarsi alle presidenziali USA (Oolibama).
Oltre alle abitudini, si trasmettono alle generazioni successive anche gli inossidabili geni degli highlander - vedi qui. Quando nasce Isacco, Abramo ha 100 anni tondi, sua moglie Sara è primipara a 90; lei morirà ancora giovane (a 127), quindi lui giustamente si consolerà, si risposerà (con Chetura) e avrà nuovi figli da lei e da altre donne, prima di morire felice a 175 anni. Non stupisce allora che Isacco campi 180 anni. Come dice sempre mio papà, di razza corre cavallo. In quale dinastia dei nostri tempi questo proverbio conferma maggiormente la sua validità? Potete esprimere una preferenza utilizzando il sondaggio nella colonna di destra.

mercoledì 12 gennaio 2011

Più incestuosi dei Forrester

Lot e le sue figlie: un incesto che fa impallidire Beautiful
Le vicende amorose della famiglia Forrester, protagonista della saga di Beautiful, sono davvero ingarbugliate. C'è gente che si sposa, divorzia, e si risposa fino a sei volte (Ridge e Brooke), gente che si passa un'intera famiglia (tanto Eric quanto i suoi figli - Ridge e Thorne - hanno potuto apprezzare le arti amatorie di Brooke), gente che contrae fino a dodici matrimoni con persone diverse (Brooke), gente che non disdegna di portarsi a letto il suocero e il genero (indovinate chi, per dirne una? Ma certo, Brooke!). In sostanza, la serie è caratterizzata da una 'sospensione della moralità' accettata con simpatia dagli spettatori, che anzi si divertono a vedere consanguinei che si tradiscono, si scambiano le parti e i partner, sfiorando talvolta l'incesto.
Appunto, sfiorando. Nella Genesi, invece, i nostri eroi valicano senza tanti convenevoli anche questo tabù: se vi entusiasmano gli azzardi sessuali tra i Forrester, non potrete che diventare dei fan sfegatati della 'Lot's family'.
Già, sempre lui: Lot, il nipote di Abramo, che abbiamo già ammirato come amorevole padre di famiglia  (vedi post precedente), quando propone agli abitanti di Sodoma di violentare a piacere le sue figlie ancora vergini invece di attentare alle virtù degli angeli.
Una famigliola a modo, s'intuisce. Neanche il tempo di finire il capitolo 19, ed ecco un bell'incesto multiplo. L'idea birichina è della figlia maggiore di Lot: "Facciamo bere nostro padre e passiamo la notte con lui: così avremo dei figli da nostro padre!". La minore non si fa certo pregare. In due notti di fila, due ubriacature al vecchio (connivente? L'autore biblico sottolinea che "non se ne rese conto", ma dubito che un giudice contemporaneo lo assolverebbe...), e così prima la maggiore, poi la minore restano incinte dell'augusto genitore. Al quale, dobbiamo dirlo, va perlomeno riconosciuta una prolificità da record: 100 per 100 di successi, gli spermatozoi più fecondi della storia. I figlinipoti di Lot - una roba talmente contronatura e antisociale che non esiste un termine esatto per definirli - vengono chiamati Moab e Ben-Ammi. Brooke, che si è limitata ad assegnare nomi piuttosto ordinari - Rick, Bridget, Hope, R.J. e Jack - ai suoi quattro figli concepiti con tre generazioni di Forrester, si rode d'invidia.

domenica 9 gennaio 2011

C'è chi c'ha la moglie bona...

La t-shirt ideale per Abramo
Così cantava Nino Frassica in una canzone scritta da Renzo Arbore ai tempi di Indietro Tutta. Tra gli sfortunatissimi fortunati che hanno al loro fianco una donna molto avvenente, c'è anche il capostipite delle tre grandi religioni monoteiste (cristianesimo, islamismo, ebraismo), ovvero Abramo.
La moglie bona in questione è Sarai - nota linguistica: Dio deciderà di togliere la 'i' finale e chiamarla Sara (che in ebraico significa principessa) a partire dal 17mo capitolo della Genesi.
Quando Abramo, a causa di una carestia, deve emigrare in Egitto (capitolo 12), la bellezza di Sarai rischia di diventare un serio problema: il 'nostro' teme che gli egiziani, pur di metterle le mani addosso, lo ammazzino. Ecco il colpo di genio: "Di' loro che sei mia sorella, così invece di uccidermi mi tratteranno bene!". Risultato: il faraone si piglia Sarai come moglie, e Abramo riceve in dono pecore, buoi, asine, asini, serve e servi. Becco e contento. Ma Dio non approva, e per farlo capire colpisce il faraone con gravi malattie: è la prima volta che l'Egitto si becca una piaga divina, vedremo che diventerà un'abitudine ricorrente...
Già qui si intuisce come il rapporto di coppia tra Abramo e Sarai abbia più di un problemino. E anche la concezione della donna all'epoca non pare tra le migliori. Conferme in entrambi i sensi arrivano nei capitoli seguenti. Convinta di essere sterile, Sarai dice ad Abramo di provare a mettere in cantiere l'erede con la sua serva Agar. Un utero in affitto dell'epoca, insomma. Ancora una volta,  un po' come Adamo, Abramo si dimostra un maschio tipico, che accetta ed esegue senza discutere il volere della moglie ("se proprio insisti..."). Anche Sarai becca e contenta, allora? Eh no, ragazzi: questa è una femmina. Quando nasce il pargolo (Ismaele), Sarai è gelosa della sua serva, e chiede ad Abramo di allontanarla. Tanto per cambiare, grandiosamente da maschio tipico la risposta di Abramo: "La schiava è tua, pensaci tu". Ci vuole di nuovo l'intervento di Dio per accomodare le cose: Agar torna alle dipendenze di Sarai, con la promessa che comunque anche suo figlio Ismaele avrà una lunga discendenza, sia pure meno importante di quella di Sara, che sarà in seguito finalmente nobilitata divenendo madre di Isacco.
Tutto a posto una volta per tutte, allora? Macché. Il lupo perde il pelo, ma non il vizio. Abramo si trasferisce a Gerar, e per mettersi al riparo da ogni problema dice al re locale Abimelech di pigliarsi pure la bellissima Sara come moglie, spacciandola di nuovo per sua sorella. Becco e contento: più che un motto, una filosofia di vita. Anche Sara conferma questa versione dei fatti, costringendo Dio a dare il suo solito segnale di avvertimento (disgrazie al malcapitato re di turno) per evitare a tutti di combinare un gran casino.
L'episodio forse più significativo sulla grande considerazione di cui godevano le donne a quel tempo (specialmente nella famiglia di Abramo), è però quello del capitolo 19: la distruzione di Sodoma e Gomorra. Gli angeli mandati da Dio per valutare la situazione vengono ospitati a Sodoma da Lot, nipote di Abramo. L'infoiatissima popolazione locale dà l'assalto all'abitazione: tutti, giovani e vecchi, vogliono violentare i due angeli. Lot esce di casa e parla alla folla per risolvere la situazione, dimostrandosi degno nipote di suo zio. Cito testualmente il mirabile discorso: "Fratelli miei, vi prego, non fate una simile malvagità. Datemi ascolto! Io ho due figlie ancora vergini. Ve le porterò fuori e potrete farne quel che vorrete, ma non toccate i due uomini: sono miei ospiti". Meno male che alla fine gli angeli si fanno giustizia da soli...
Comunque, la moglie bona - ma anche la figlia - all'occorrenza può sempre tornare utile. E voi, sareste mai tentati di accettare una 'proposta indecente'? Qualche spunto nel sondaggio sulla destra.

martedì 4 gennaio 2011

Briatore? Un dilettante...

Nathan Falco: un nome banalotto...
Quando Flavio Briatore ed Elisabetta Gregoraci hanno annunciato il nome scelto per il loro bimbo (Nathan Falco), così come quando Francesco Totti ed Ilary Blasi hanno comunicato al mondo la gioia per l'arrivo della prima femminuccia (Chanel), l'opinione pubblica si è spaccata in due. Una parte - i sani di mente - ha compianto il destino del povero neonato, condannato alla derisione da parte degli amici dall'asilo alla terza media. Un'altra parte - quelli 'tròòòppo avanti' - ha apprezzato l'originalità, magari cominciando a ipotizzare una rosa di nomi altrettanto originali da affibbiare in futuro ai propri pargoli per distinguerli (e distinguersi) dalla massa, stupire gli amici, causare un infarto alla suocera. Non necessariamente con questo ordine di priorità.
Se siete tra quelli 'tròòòppo avanti', il capitolo 10 della Genesi vi offre una sessantina di spunti davvero strampalati: Sem, Cam e Iafet, i figli di Noè, forse per vendicarsi sulle generazioni successive dei nomi improbabili capitati loro in sorte, hanno a loro volta scelto nomi improbabili per i propri pargoli. Come nelle peggiori catene di Sant'Antonio, si è così trasmessa di generazione in generazione un'aberrante tradizione di famiglia: fare a gara nell'affibbiare alla prole nomi ai limiti della pronunciabilità. Nathan Falco, al confronto, risulta banalotto e insipido, con buona pace di Flavio & Eli.
Anche a me questo repertorio biblico tornerà senz'altro utile. Per mestiere, infatti, mi capita talvolta di dovere inventare il nome con cui lanciare sul mercato un nuovo prodotto, un'azienda, un progetto o un evento. Non è così semplice come potrebbe sembrare. Il mio maestro Massimo Morelli mi ha riferito il trucco di un copywriter molto quotato in questo genere di attività - in gergo si definisce naming: quando era in difficoltà, magari dopo il terzo giro di proposte accolte tiepidamente dai committenti, questo genio apriva le pagine dell'elenco telefonico di Ibiza alla voce 'locali pubblici'. In un attimo, ecco pronte centinaia di nomi spagnoleggianti, uno più stuzzicante dell'altro, perfetti per ogni cosa - dallo shampoo antiforfora al fondo di investimento - e più volte proposti con grande successo ai clienti.
Direi che questa pagina della Genesi mi offre valide opzioni salvagente in diversi ambiti:
- almeno tre nomi per un nuovo software antivirusNimrod, Laab, Recobot-Ir
- tre per un nuovo farmaco potenziatore della virilitàTiras, Tubal, Amorrei
- tre per vaticinatori/maghi da tv locale: Magog, Patros, Raama
- tre per uno yogurt con effetti lassativi: Ofir, Ioctan, Iobab
- uno per uno studio di chirurgia plastica: Rifat
- uno per un nuovo combustibile: Naftuc
L'utilizzo senz'altro più indicato, comunque, è quello delle nuove linee di mobili Ikea. A questo proposito, quale vi ispira di più? Rispondete utilizzando il sondaggio sulla destra.

sabato 1 gennaio 2011

Piove che Dio la manda

L'arca - disegno di Tom Dubuois
Eccolo, il Diluvio. Per conoscerlo Noè deve aspettare di compiere 600 anni; io, lettore, il tempo di scorrere 6 brevi capitoli della Genesi. La modernità ha tempi decisamente più ristretti.
Anche perché Dio, all'inizio del capitolo 6, capisce che deve darci un taglio con gli highlander figlianti come conigli fino a 900 anni, altrimenti la Terra rischia di scoppiare. Il nuovo limite che pone per la vita degli uomini è di 120 anni. Ci possiamo accontentare, dai - e lo vedi che anche stavolta Silvio ci ha preso, indicando come suo obiettivo proprio il raggiungimento di quell'età precisa? Vecchio volpone.
"Gli uomini e le donne sono lussuriosi e malvagi. Sai che c'é? Io li ho fatti, io li distruggo". Questo Dio sembra parecchio irascibile e un po' umorale. Tanto è vero che ci ripensa subito: visto che Noè è l'unico a vivere ancora secondo le sue intenzioni, attraverso di lui l'umanità potrà salvarsi. Grazie, patriarca.
E così, ecco il nostro aitante seicentenne a costruire l'arca in cui ospitare figli, moglie, nuore e animali di ogni sorta. Le dimensioni indicate dal Capo, per la verità, non sono granché per tutta 'sta gente: un appartamentino galleggiante di 150 metri x 25, altezza 15. Almeno si può soppalcare. Mi immagino un clima abbastanza soffocante e le code interminabili ai bagni per i 40 giorni e le 40 notti in cui piove che Dio la manda. Tra l'altro, era proprio il caso di portare tutti gli animali di ogni genere? Non era l'occasione buona per liberarsi di qualche specie inutile e molesta? Dite la vostra rispondendo al sondaggio sulla colonna di destra.
Anche quando non pioverà più, l'acqua ci metterà circa un anno a calare del tutto fino a rendere la terra nuovamente abitabile. Qualche giorno prima, per verificare la situazione, Noè libera una colomba, che ritorna con un ramoscello d'ulivo: da ignorante, non sapevo che proprio da questo passo biblico nascesse l'icona della colomba come simbolo di pace (nel nostro caso, tra Dio e gli uomini). Poco oltre, ecco comparire anche la prima bandiera arcobaleno della storia: Dio dice che l'arco colorato tra le nubi è e sarà sempre il segno della sua promessa fatta agli uomini di non distruggere mai più ogni vivente.
Pace fatta, allora. Ma nel banchetto di festeggiamento niente tagliata alla rucola o bistecca alla fiorentina: "Vi do per cibo tutto ciò che si muove e ha vita. Non dovrete però mangiare la carne con il sangue, perché nel sangue c'è la vita".
Cacchio, a me il filetto piace proprio sanglant. Se si scatenasse un altro diluvio, sapete con chi prendervela.

giovedì 30 dicembre 2010

Gli highlander

Da Adamo a Noè: arzilli e guizzanti fino a 900 anni e più!
Non so se Silvio Berlusconi abbia mai letto il quinto capitolo della Genesi. Non credo, perché altrimenti, conoscendo la sua voglia di primeggiare, alzerebbe il tiro rispetto al traguardo dei 120 anni d'età in piena efficienza che dichiara di voler raggiungere, e si vanterebbe un po' meno delle sue scorribande amatorie.
Adamo e i suoi discendenti fino a Noè hanno fatto decisamente di meglio: una vita davvero interminabile e sempre attivissima, anche dal punto di vista sessuale.
Adamo all'età di 130 anni generò Set, il suo terzogenito. Dopo la nascita di Set, visse altri 800 anni ed ebbe ancora figli e figlie. Adamo visse 930 anni, poi morì - era ora, viene da dire.
Set si gode le libertà di scapolo fino a 105 anni, poi pensa bene di sfornare il pargolo: Enos. Quindi campa alla grande per altri 807 anni, genera figli e figlie a profusione e muore a 912 anni.
E avanti così, con gente che tromba alla grandissima e campa centinaia e centinaia di anni.
Giusto per essere precisi, riporto qui sotto l'età a cui ebbero il primo figlio e l'età a cui morirono i discendenti di Set fino a Noè:
- Enos: primo figlio a 90 (Kenan), muore a 905.
- Kenan: primo figlio a 70 (Maalaleel), muore a 910.
- Maalel: primo figlio a 65 (Iared), muore a 895.
- Iared: primo figlio a 162 (Enoc), muore a 962.
- Enoc: primo figlio a 65 (Matusalemme) e non muore mai: poiché vive sempre come piace a Dio, quando compie 365 anni - nel pieno della giovinezza, potremmo dire - Dio se lo porta via con sè. Auguri!
- Matusalemme: primo figlio a 187, alla faccia del Viagra (Lamech), muore a 969, alla faccia del Gerovital.
- Lamech: primo figlio a 182 anni (Noè), muore a 777 (un ragazzino!).
- Noè avrà i suoi figlioli Sem, Cam e Iafet alla bella età di 500 anni (e stavolta almeno un po' di polverina azzurra gli sarà servita, credo...). Morirà a 950 anni, dopo aver affrontato e superato alla grande anche un Diluvio Universale.
L'altra considerazione che viene spontanea: ma che razza di nomi esistevano una volta? Scegliete un nome biblico che vi piacerebbe per il vostro Labrador utilizzando il sondaggio sulla destra.

mercoledì 29 dicembre 2010

Da una coppia con problemi, dei figli con problemi...

Rubens, Adamo ed Eva, Rubenshuis, Anversa
Diciamocelo chiaramente: Adamo ed Eva non ci fanno una gran figura. Lei è la classica femmina 'fashion victim' che si fa abbagliare dall'ultimo prodotto alla moda (la mela sponsorizzata dal serpente). Lui è il classico maschio senza spina dorsale che si adegua passivamente ai desideri della moglie ("Lei me ne ha dato e io ne ho mangiato": ma che scusa è?!).
La cacciata dal Paradiso è scontata e inevitabile, come l'eliminazione dal Grande Fratello di due concorrenti assolutamente privi di personalità e non salvabili dal pubblico a casa. Va anche detto che Dio, su questa storia della mela, è quello zinzinello intransigente e permaloso...
Ad ogni modo, secondo voi di chi è la colpa? Potete rispondere utilizzando il sondaggio che si trova nella colonna a destra dello schermo.
Con due genitori tanto inadeguati, in mancanza di Sos Tata che all'epoca ancora non esisteva, non stupisce che Caino e Abele crescano con dei problemi relazionali destinati ad avere le conseguenze fatali e tragiche che tutti ben conosciamo.


martedì 28 dicembre 2010

In principio

Michelangelo, la Creazione, Cappella Sistina Roma
L'inizio, per fortuna, è soft. Nel senso che il primo libro della Bibbia è la Genesi, e si parte da una storia semplice da seguire e già conosciuta praticamente da tutti: quella della creazione del mondo in sei giorni, più un settimo per riposare.
Mi sta simpatico un Dio che tra le primissime cose crea le vacanze. Abbiamo una visione simile delle cose belle e importanti nella vita: il cielo, il mare, la natura, gli animali, il cibo, le donne, le vacanze.
Rileggere questo racconto, è un po' come tornare a catechismo in terza elementare. E' una storia facile, che si fa leggere rapidamente e volentieri, ricca di suggestioni visive.
Provo a mettermi nei panni di chi l'ascoltava quando iniziò a entrare nella tradizione dei racconti popolari, probabilmente qualche millennio prima della nascita di Gesù: mi immagino famiglie intere riunite attorno al fuoco, e un abile cantastorie a raccontare di questo Dio che dal nulla creò tutto quello che esiste. Madri affettuose accarezzano i figli sulla testa, osservando con un sorriso pieno di dolcezza gli sguardi rapiti dei loro bambini mentre stanno lì ad ascoltare un vecchio istrione - me lo immagino tipo Vittorio Gassman - che li intrattiene con questo racconto davvero fantascientifico.
Considerando il poverissimo patrimonio iconografico dell'epoca, totalmente privo di filmati, fotografie, libri illustrati, se raccontata con le pause e i tempi giusti, una storia così per un bambino poteva essere davvero grandiosa. Credo che la sua fantasia ne fosse colpita come quella di un bambino di oggi guardando il Signore degli Anelli o Avatar in 3D; un po' come il piccolo Totò Cascio quando per la prima volta alza gli occhi sullo schermo nel buio incantato del Nuovo Cinema Paradiso. Un mondo che prende vita. Wow!
Piccola curiosità/nota linguistica. Da sempre, quando mi era capitato di ascoltare il racconto della creazione, avevo notato che non pareva avere granché senso il passo in cui Dio dice: "Essa si chiamerà Donna perché è stata creata dall'Uomo". Che nesso causale/consequenziale c'è? Grazie alle note, scopro adesso - come in effetti facilmente intuibile, non ci voleva un genio! - che in ebraico i termini usati per Uomo e Donna sono molto simili: un gioco di parole che in italiano suonerebbe più o meno così: "essa si chiamerà Uoma perché è stata creata dall'Uomo". Il che pare decisamente più sensato.