venerdì 26 agosto 2011

Holy Rasta

I capelli lunghi sono il segno
di chi si consacra a Dio
A Dio piacciono i capelloni, e non è una novità. Tutte le rappresentazioni iconografiche propongono Gesù - il Figlio Unigenito - immediatamente riconoscibile per lo stile scanzonatamente trasandato, degno di un hippie del flower-power. Lo stesso Dio Padre è sempre rappresentato con un groviglio di barba e capelli canuti da fare invidia a Capitan Findus.
Già nel Levitico il Signore aveva espressamente raccomandato agi israeliti di non eccedere con forbici e rasoio. Ora, nel sesto capitolo dei Numeri, l'astensione dal taglio dei capelli diventa l'elemento che distingue le persone che decidono di consacrarsi a Dio per un periodo determinato di tempo: nel testo biblico, tali uomini e donne vengono indicati come nazirei (vocabolo a me prima del tutto ignoto, ma che senza dubbio avrei creduto si riferisse a nazisti colpevoli di un crimine).
Il comandamento per un nazireo è chiarissimo e inequivocabile: "Egli è consacrato al servizio del Signore: dovrà quindi lasciar crescere liberamente i capelli fino al termine del periodo fissato. [...] Egli appartiene al Signore e la sua capigliatura ne è il segno".
Ci può essere un imprevisto che in un solo attimo compromette mesi o addirittura anni di lunghissime ciocche fluenti, di barbe aggrovigliate come una foresta di mangrovie, di rigogliose cascate boccolute, di chilometriche"trecce forzate": la morte di qualcuno in presenza del nazireo. Ogni uomo o donna che si consacra a Dio, infatti, non deve avvicinarsi a nessun cadavere, compresi quelli della madre, del padre, di un fratello o di una sorella: questo lo renderebbe immediatamente impuro. Così - spiega il Signore - "se qualcuno muore improvvisamente accanto a lui, la sua capigliatura, segno della sua consacrazione, resta profanata. Dopo sette giorni egli dovrà compiere un rito di purificazione e radersi completamente il capo".
Segue l'immancabile sgozzamento di piccioni e agnelli. A quel punto, sarà come ripassare dal Via! a Monopoli: "ricomincerà da capo il periodo della sua consacrazione come nazireo. Il periodo precedente non conterà, perché è stato interrotto e profanato".
Solo alla fine del periodo di consacrazione predefinito, dopo il doveroso sacrificio rituale di svariati animali, vino, farina e focacce all'olio non lievitate, i capelli potranno essere definitivamente tagliati e il voto del nazireo risulterà compiuto e bene accetto a Dio.
Oltre a quelle del crine forzatamente lungo e della lontananza obbligatoria dai cadaveri, il Signore indica solo un'altra regola per chi si vuole consacrare a lui: "Non dovrà bere né vino, né alcolici, né birra, né bevande prodotte con il succo dell'uva, anzi non potrà mangiare né uva fresca né uva passa. Per tutta la durata della promessa non dovrà mangiare niente di quel che proviene dalla vite, nemmeno acini acerbi o bucce d'uva".
Niente forbici, niente cadaveri, niente uva e derivati. Tutto chiaro. Nessun problema, però, per quanto riguarda la marijuana e i suoi derivati. E se i rasta jamaicani fossero in realtà israeliti molto abbronzati e molto osservanti?

mercoledì 17 agosto 2011

Gelosia, gelosia canaglia

Meglio tenere sotto controllo
la gelosia di un marito tradito...
Un marito tradito è come un toro ferito: le sue corna diventano armi potenzialmente letali. Forse proprio per evitare reazioni fatali e incontrollabili, nel libro dei Numeri (capitolo 5) Dio impartisce a Mosè disposizioni precise su come si debba comportare un marito che sospetti di essere stato disonorato dalla moglie senza averne le prove.
Come capire se la moglie lo ha davvero tradito di nascosto, o se al contrario lei è innocente e il marito è vittima di un'immotivata gelosia canaglia? Per prima cosa, ovviamente, si porta la donna al cospetto del sacerdote-giudice, senza dimenticare l'offerta di due chili di farina d'orzo. Il religioso provvede a togliere il velo alla presunta adultera, e tenendo in in mano un bicchiere di acqua amara le fa pronunciare un giuramento di automaledizione: "Se non è vero che un altro uomo ha avuto rapporti con te, quest'acqua amara non ti farà alcun male. Ma sarà diversamente se ti sei davvero disonorata - la ammonisce -. Il Signore ti castighi: ti renda sterile e faccia gonfiare il tuo ventre; i tuoi concittadini ti portino come esempio quando scagliano maledizioni! Quest'acqua di maledizione penetri dentro i tuoi intestini, faccia gonfiare il tuo ventre e ti renda sterile!".
"Amen, avvenga come hai detto!", risponde la donna, e poi si beve l'acqua amara, dove nel frattempo è stato pure immerso un foglio che riporta lo stesso giuramento di maledizione in forma scritta.
Ora, non voglio mettere in dubbio l'efficacia del rito e dell'anatema. Temo però che talvolta si sia verificato un effetto collaterale imprevisto.
Si dà infatti il caso che alcune donne, dopo un tradimento realmente consumato, abbiano sì accusato un rigonfiamento del ventre; questo ingrossamento evidente e progressivo, tuttavia, non ha avuto come esito la sterilità invocata dalla maledizione sacerdotale, ma la nascita di un bel bimbetto, da taluni additato come figlio di buonadonna. Appellativo poco garbato - siamo d'accordo - ma nella circostanza tecnicamente appropriato.

mercoledì 10 agosto 2011

Avanti, Marsch!

Gli israeliti si accampavano
come un esercito itinerante
Chissà se il libro dei Numeri ci darà qualche dritta per il Superenalotto. Sperare è lecito. Tanto per cominciare, nei primi capitoli (1-4) ci fornisce un quadro dettagliato di come si è organizzato il popolo d'Israele, guidato da Mosè e Aronne, durante la traversata nel deserto verso la Terra Promessa.
Di fatto, siamo alle prese con un esercito in piena regola, suddiviso in 12 tribù. Ancora una volta, ci viene presentato un elenco di nomi insoliti e curiosi, sia per quanto riguarda le tribù (di Ruben, Simeone, Giuda, Issacar, Zabulon, Efraim, Manasse, Beniamino, Dan, Aser, Gad, Neftali), sia per quanto riguarda i capifamiglia: già mi immagino, ad esempio, come da piccolo il povero Sedeur sia stato impietosamente preso per il culo - è proprio il caso di dirlo - dagli amichetti (i bimbi sanno essere crudeli); probabile che Paghiel offrisse sempre un giro di bianchi al bar; Pedasur doveva emanare un odorino niente male dai sandali; Chelon andava pazzo per il granchio fritto; Ammisaddai e Zurisaddai venivano continuamente richiamati perché si attardavano lungo il cammino.
Dio ordina a Mosè di fare un censimento dettagliato: in totale i maschi adulti (dai vent'anni in su) abili e arruolati per l'esercito del Signore sono 603.550. Per gli amanti delle statistiche, la tribù più numerosa è quella di Giuda con 74.600 (occhio: abbondano i potenziali traditori), mentre la più esigua è quella di Manasse con 32.200 (saranno anche bravi a menare le loro grandi mani, ma evidentemente hanno qualche problemino ad utilizzare con successo il pisello).
Ogni gruppo ha una posizione precisa assegnata nell'accampamento: a est la tribù di Giuda, che sta anche in testa al gruppo durante la marcia; a sud la tribù di Ruben, seconda nel plotone; la tribù di Efraim (accampata ad ovest) e quella di Dan (a nord) chiudono il gruppo in marcia.
Se queste 12 tribù costituiscono l'armata divina, c'è in aggiunta un'altra tribù speciale, che il Signore ordina di censire a parte: è quella di Levi. I leviti si devono accampare al centro, nella zona più protetta, e anche durante la marcia sono circondate dalle altre tribù. Il motivo di tanta protezione sta nel loro compito. Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, infatti, i membri di questa tribù non si occupano di fornire pantaloni blu a tutti gli altri, ma sono incaricati di custodire, predisporre e trasportare tutto il materiale per i servizi liturgici. In pratica, abbiamo un'intera tribù (22.300 maschi dall'anno di vita in su) di cappellani militari, alle dirette dipendenze di Aronne e dei suoi figli, che sono i sacerdoti. I "sacrestani" leviti sono così numerosi che devono essere a loro volta divisi in tre diverse famiglie (originate dai tre figli di Levi) con compiti ben precisi: i figli di Gherson (7.500) si occupano della Tenda per l'Incontro con Dio, dei relativi teli e paramenti; i figli di Keat (8.600) si occupano dell'Arca, del candelabro, degli altari e degli oggetti per il culto; i figli di Merari (6.200) si occupano di assi, corde, picchetti, basamenti e colonne.
Va detto, per dovere di cronaca, che in servizio effettivo sono solo i leviti in età compresa tra i 30 e i 50 anni (8.580). Dio fa censire anche i primogeniti: in tutto, dal mese di vita in su, nell'accampamento se ne contano 22.273, più 273 primogeniti leviti (anche loro contati a parte).
La crisi economica e finanziaria di cui ogni giorno, di questi tempi, sentiamo parlare ovunque, mi fa sorgere una riflessione spontanea (e poi dicono che i media non condizionano il tuo modo di pensare...): se tra gli israeliti dell'epoca ci fosse stato un sistema pensionistico, il loro bilancio statale sarebbe stato incasinato peggio del nostro. Ed è tutto dire.

martedì 2 agosto 2011

Tanti pesi e tante misure

L'equità non è una caratteristica
della legge del Levitico
La legge di Dio continua a rivelarsi imprevedibile, alternando disposizioni apparentemente sensate e condivisibili ad altre che lasciano basiti per iniquità e incomprensibilità (ma tanto, ormai, ci siamo abituati). Come il resto di questo libro - diciamocelo francamente, tutt'altro che appassionante - anche gli ultimi capitoli del Levitico sono caratterizzati da una caotica accozzaglia di prescrizioni.
Nel capitolo 25, il Signore raccomanda di lasciare riposare le terre coltivate per un anno intero ogni sette: non si deve seminare nulla, ma raccogliere solo ciò che il terreno produce spontaneamente. Vallo a spiegare all'assemblea di Confagricoltura, e vedi se riesci ad evitare la lapidazione.
Un anno ancora più speciale è quello che ricorre ogni volta che si compiono sette cicli di sette anni: ogni cinquantesimo anno, infatti, viene indetto il Giubileo, ovvero l'Anno della Liberazione. Anche per quell'anno, e che ve lo dico affa', le coltivazioni sono bandite; in più, ogni terra che precedentemente sia stata oggetto di compravendita, può essere riscattata dal proprietario originario ad un prezzo predefinito ed equo; lo stesso vale per le case, a patto che non siano situate in città fortificate (in questo caso, non si capisce perché, restano a chi le ha comprate). Il concetto è che la terra e le abitazioni non sono proprietà delle persone: appartengono a Dio, che le ha concesse originariamente ad una famiglia, la quale a sua volta può cederla ad altri, ma solo temporaneamente, perché ad ogni Giubileo è come se tutto si riazzerasse. Altro giro, altra corsa.
L'altalena fra giustizia e ingiustizia prosegue serrata. Registriamo con piacere che la schiavitù è di fatto proibita tra gli israeliti: "Quando uno dei vostri connazionali, caduto in miseria, dovrà vendersi a voi come schiavo, non fatelo lavorare come schiavo, ma trattatelo come un salariato [...] fino all'anno del Giubileo. Allora sarà reso libero, insieme con i suoi figli; rientrerà nella sua famiglia e ritornerà in possesso dei suoi terreni". Peccato che non ci sia alcuno scrupolo o rimorso di coscienza civile per quanto riguarda i forestieri, anzi: "Se avete bisogno di schiavi o di schiave, procuratevene presso le popolazioni straniere che vi circondano. Potrete anche acquistarne tra i figli degli stranieri che risiedono nel vostro paese o tra i membri delle loro famiglie nati sul posto. Essi vi apparterranno. Più tardi, li lascerete in eredità ai vostri figli, perché essi ne abbiano la proprietà a loro volta. Voi potrete conservarli come schiavi per sempre". Gli uomini, all'occhio di Dio, non sono di certo tutti uguali.
Allo stesso modo, poco oltre, se da un lato siamo piacevolmente sorpresi nel sentire il Signore smentire lo stereotipo dell'ebreo usuraio ("Quando uno è caduto in miseria e non può tener fede ai suoi impegni nei vostri riguardi, voi dovete venirgli in aiuto. Agirete così anche verso uno straniero che abita nella vostra terra. Non gli chiederete interessi di nessun genere"), dall'altro nei paragrafi conclusivi scopriamo che i sacerdoti, al contrario, sono quasi istigati allo strozzinaggio. Se infatti un campo, una casa, una bestia o una persona sono stati consacrati al Signore, cioè ceduti al sacerdote custode del tempio perché ne disponga come meglio crede, il proprietario originario per riscattarli deve pagare un quinto in più della somma fissata dal sacerdote, che applica dunque una modica cresta del 20%. Una vera e propria IVA ante litteram, alla faccia del tasso agevolato. A Dio, tramite il sacerdote, spetta anche un decimo di tutti i raccolti e di tutto il bestiame. E noi che storciamo il naso per l'8 per mille...
Il Levitico, terzo testo biblico, è così compiuto. Vediamo cosa ci riserverà il libro dei Numeri