martedì 2 agosto 2011

Tanti pesi e tante misure

L'equità non è una caratteristica
della legge del Levitico
La legge di Dio continua a rivelarsi imprevedibile, alternando disposizioni apparentemente sensate e condivisibili ad altre che lasciano basiti per iniquità e incomprensibilità (ma tanto, ormai, ci siamo abituati). Come il resto di questo libro - diciamocelo francamente, tutt'altro che appassionante - anche gli ultimi capitoli del Levitico sono caratterizzati da una caotica accozzaglia di prescrizioni.
Nel capitolo 25, il Signore raccomanda di lasciare riposare le terre coltivate per un anno intero ogni sette: non si deve seminare nulla, ma raccogliere solo ciò che il terreno produce spontaneamente. Vallo a spiegare all'assemblea di Confagricoltura, e vedi se riesci ad evitare la lapidazione.
Un anno ancora più speciale è quello che ricorre ogni volta che si compiono sette cicli di sette anni: ogni cinquantesimo anno, infatti, viene indetto il Giubileo, ovvero l'Anno della Liberazione. Anche per quell'anno, e che ve lo dico affa', le coltivazioni sono bandite; in più, ogni terra che precedentemente sia stata oggetto di compravendita, può essere riscattata dal proprietario originario ad un prezzo predefinito ed equo; lo stesso vale per le case, a patto che non siano situate in città fortificate (in questo caso, non si capisce perché, restano a chi le ha comprate). Il concetto è che la terra e le abitazioni non sono proprietà delle persone: appartengono a Dio, che le ha concesse originariamente ad una famiglia, la quale a sua volta può cederla ad altri, ma solo temporaneamente, perché ad ogni Giubileo è come se tutto si riazzerasse. Altro giro, altra corsa.
L'altalena fra giustizia e ingiustizia prosegue serrata. Registriamo con piacere che la schiavitù è di fatto proibita tra gli israeliti: "Quando uno dei vostri connazionali, caduto in miseria, dovrà vendersi a voi come schiavo, non fatelo lavorare come schiavo, ma trattatelo come un salariato [...] fino all'anno del Giubileo. Allora sarà reso libero, insieme con i suoi figli; rientrerà nella sua famiglia e ritornerà in possesso dei suoi terreni". Peccato che non ci sia alcuno scrupolo o rimorso di coscienza civile per quanto riguarda i forestieri, anzi: "Se avete bisogno di schiavi o di schiave, procuratevene presso le popolazioni straniere che vi circondano. Potrete anche acquistarne tra i figli degli stranieri che risiedono nel vostro paese o tra i membri delle loro famiglie nati sul posto. Essi vi apparterranno. Più tardi, li lascerete in eredità ai vostri figli, perché essi ne abbiano la proprietà a loro volta. Voi potrete conservarli come schiavi per sempre". Gli uomini, all'occhio di Dio, non sono di certo tutti uguali.
Allo stesso modo, poco oltre, se da un lato siamo piacevolmente sorpresi nel sentire il Signore smentire lo stereotipo dell'ebreo usuraio ("Quando uno è caduto in miseria e non può tener fede ai suoi impegni nei vostri riguardi, voi dovete venirgli in aiuto. Agirete così anche verso uno straniero che abita nella vostra terra. Non gli chiederete interessi di nessun genere"), dall'altro nei paragrafi conclusivi scopriamo che i sacerdoti, al contrario, sono quasi istigati allo strozzinaggio. Se infatti un campo, una casa, una bestia o una persona sono stati consacrati al Signore, cioè ceduti al sacerdote custode del tempio perché ne disponga come meglio crede, il proprietario originario per riscattarli deve pagare un quinto in più della somma fissata dal sacerdote, che applica dunque una modica cresta del 20%. Una vera e propria IVA ante litteram, alla faccia del tasso agevolato. A Dio, tramite il sacerdote, spetta anche un decimo di tutti i raccolti e di tutto il bestiame. E noi che storciamo il naso per l'8 per mille...
Il Levitico, terzo testo biblico, è così compiuto. Vediamo cosa ci riserverà il libro dei Numeri

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