martedì 28 agosto 2012

Ahi Ahi Ahi Ai!

La città di Ai fu incendiata e distrutta
Ritrovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato è di certo una grande sventura. Ma essere un posto sbagliato nel momento sbagliato è probabilmente una sventura ancora peggiore.
Per capire cosa intendo, provate a cercare con Google Maps, dalle parti della Palestina, la città di Ai. Non la trovate? Appunto. Come si narra nel capitolo 8 del libro di Giosuè, "della città di Ai, che Giosuè fece bruciare e radere al suolo, rimane soltanto un cumulo di rovine abbandonate".
E dire che, solo poco tempo prima, i suoi cittadini avevano facilmente costretto alla fuga gli assedianti israeliti, che per colpa di Acan non avevano Dio dalla loro parte. Una volta giustiziato il colpevole, però, il Signore perdona il suo popolo e ordina a Giosuè di tornare all'attacco: "Dovrete trattare Ai e il suo re come Gerico e il suo re - che, come forse ricorderete, non erano stati trattati con particolare gentilezza; ma questa volta potrete prendere per voi il bottino e il bestiame". Dio sembra quasi voler prendere in giro anche da morto il reietto Acan, lapidato con tutta la famiglia proprio per essersi preso parte del bottino.
La tattica impostata da Giosuè per la battaglia è un'imboscata in piena regola: finge di avvicinarsi nuovamente alla città con poche migliaia di soldati, attirando così fuori dalle mura il re e l'esercito di Ai, convinti di poter inseguire e scacciare gli israeliti come la volta precedente; nel frattempo, però, il grosso dell'esercito di Giosuè, nascosto dalla parte opposta, entra comodamente tra le mura sguarnite di Ai e incendia la città. "Così gli uomini di Ai si trovarono accerchiati e furono uccisi. Non se ne salvò nemmeno uno, eccetto il re di Ai, che fu catturato vivo e portato da Giosuè. Gli Israeliti, dopo aver ucciso in aperta campagna tutti i soldati che avevano inseguito verso il deserto, tornarono nella città e uccisero tutti gli abitanti. Quel giorno fu sterminata tutta la popolazione di Ai, uomini e donne: circa dodicimila persone".
L'ormai proverbiale clemenza divina trova un nuovo fulgido esempio. E se foste un pochino delusi per il fatto che il re sia stato risparmiato, non angustiatevi più di tanto. Giusto il tempo di arrivare al paragrafo successivo: "Giosuè fece impiccare ad un albero il re di Ai e il suo cadavere restò appeso fino a sera. Al tramonto, per ordine di Giosuè, gli Israeliti lo tolsero dall'albero. Lo gettarono all'ingresso della città e lo seppellirono sotto un grande mucchio di pietre. Quel mucchio è ancora là". Vicino all'altro mucchio di pietre, cenere e polvere ancora più grande, quello della città.
E se vi ritrovate a passare da quelle parti, potreste sentire il vento fischiare tra le pietre e il cielo terso una malinconica canzone messicana, per ricordare il triste destino della città di Ai, del suo re, e dei suoi dodicimila abitanti....

giovedì 9 agosto 2012

Tatadìo alla riscossa

Tornano le punizioni esemplari di Tatadìo
Gerico è conquistata, tutti i suoi abitanti sono stati sterminati a dovere, ad eccezione della prostituta Rab e della sua famiglia per il prezioso aiuto fornito alle spie israeliane (vedi qui).
Il Signore, insomma, dovrebbe essere più che compiaciuto per le imprese del suo popolo ubbidiente.
Peccato che qualcuno si creda più furbo degli altri e rovini l'idillio.
L'israelita monello che mette nei guai tutti gli altri è Acan. Nel capitolo settimo del libro di Giosuè scopriamo che questo discendente della tribù di Giuda - e ti pareva...- ha tradito il patto di obbedienza con Dio: anziché gettare nel fuoco sacro tutte le ricchezze di Gerico, si è tenuto per sé parte del bottino (un mantello babilonese, duecento pezzi d'argento e un pezzo d'oro da oltre mezzo chilo), e ha nascosto il malloppo in un buco nella sua tenda.
Gli Israeliti, ignari del misfatto, se ne partono baldanzosi alla conquista di un'altra piccola città, Ai, convinti di cavarsela comodamente avendo Dio dalla loro parte. Ma i tremila soldati, a sorpresa, incappano in una sonora sconfitta: 36 vengono uccisi, gli altri sono messi in fuga.
Giosuè chiede conto al Signore del mancato sostegno, e il mistero è svelato: "Gli Israeliti hanno peccato. [...] Hanno osato prendere per sé qualcosa che doveva essere distrutto. L'hanno rubato e l'hanno nascosto tra i propri bagagli. Per questo gli Israeliti non possono più resistere ai nemici".
Come rimediare a una marachella tanto grave ? I lettori affezionati immagineranno già la risposta: qui ci vuole Tatadìo con le sue punizioni esemplari.  Detto fatto, il Signore dispone il castigo: "Quell'uomo che sarà indicato come possessore degli oggetti proibiti sarà bruciato con moglie e figli e tutto quel che gli appartiene". Mi pare equo.
Il mattino seguente Acan viene messo alle strette e confessa la sua colpa. L'epilogo è inevitabile. "Tutti gli Israeliti scagliarono pietre constro Acan e la sua famiglia, fino a farli morire". Basta così, direi.
"Poi bruciarono tutte le sue cose e vi gettarono sopra un mucchio di pietre"Giusto, giusto: s'era detto di bruciarli, non sarebbe stato carino rimangiarsi la parola data. A posto così, no?
"Ricoprirono i resti di Acan con un altro mucchio di pietre che è ancora là".
Qualcos'altro?
"Dopo questi fatti lo sdegno del Signore contro Israele cessò".
Ah, ecco. Alla fine bastava così poco...