martedì 29 marzo 2011

La Top Ten delle Disgrazie

Le 10 Piaghe d'Egitto:
al numero 9, l'invasione delle rane
Tra il capitolo 7 e il capitolo 10 dell'Esodo, Dio mette in scena un personalissimo show ricco di strabilianti effetti speciali, che ha per palcoscenico l'intero Egitto: la Top Ten delle Disgrazie.
I lettori più attenti forse ricorderanno che già nella Genesi, ai tempi di Abramo, il Signore aveva fatto le prove generali, infliggendo gravi malattie al faraone e al suo popolo. Ma è davvero robetta al confronto di quello che sta per scatenare dalle parti del Nilo.
Ad essere onesti, in tutta la faccenda il povero faraone sembra più una vittima che un colpevole giustamente punito: più volte, infatti, Dio stesso spiega a Mosè che "farà diventare ostinato il cuore del faraone", il quale proprio per questo non accoglierà la richiesta di libertà per gli Ebrei presentata da Mosè assieme al fratello Aronne. Insomma, l'equilibrio tra onnipotenza divina e libero arbitrio umano pare fortemente sbilanciato: se Dio sa già che il faraone non ascolterà Mosè poiché lui stesso ne renderà il cuore ostinato, perché infierisce punendo il re e il popolo egiziano con disgrazie sempre maggiori, quando in fin dei conti il faraone non ha alcuna possibilità concreta di ravvedersi visto che tutto è già prestabilito? Niente da fare, io proprio non ci arrivo.
Ad ogni modo, la Top Ten delle Disgrazie, in successione cronologicaordine crescente di sventura, è la seguente:
10. L'acqua si tramuta in sangue
9. L'invasione delle rane
8. L'invasione delle zanzare
7. L'invasione dei mosconi (che evidentemente erano considerati più fastidiosi delle zanzare)
6. La morte del bestiame
5. Le ulcere con ascessi su uomini e animali.
Fino a questo momento, le calamità interessano solo i ministri e il popolo risparmiando il faraone, che ogni volta finge di essere pentito e dichiara di voler liberare gli Ebrei a patto che Mosè preghi il Signore perché ponga fine alla Disgrazia. Il teatrino, però, si ripete sempre identico: Mosè dice a Dio "Basta così", la piaga cessa di colpo, ma il Signore rende il cuore del faraone ostinato e il re si rimangia la promessa di libertà. Altro giro, altra corsa.
Le ultime quattro Disgrazie, allora, colpiscono direttamente anche il faraone e la sua famiglia:
4. Grandine e fulmini devastanti
3. L'invasione delle cavallette giganti (giusto per completare la collezione degli insetti mostruosi)
2. Tre giorni di oscurità totale
1. La morte di tutti i primogeniti
"Quella notte il faraone fu costretto ad alzarsi, e, come lui, i suoi ministri e tutti gli Egiziani. In Egitto si alzò un urlo fortissimo di dolore: in tutte le case c'era un morto!".
Ma come, Dio non era quello buono? Sono alquanto confuso.
Provo a distrarmi pensando ad un elenco di ipotetiche piaghe punitive per l'Italia contemporanea: quale sarebbe la peggiore? Potete votare utilizzando il sondaggio nella colonna di destra.

giovedì 24 marzo 2011

Il faraone Renato

Il faraone contro gli 'ebrei-fannulloni':
un lontano antenato di Renato Brunetta?
Non tutte le ciambelle riescono con il buco. Specie al primo colpo. Mosè e il fratello Aronne si mettono subito d'impegno per compiere la volontà di Dio e liberare il loro popolo dalla schiavitù. L'Altissimo ha detto loro di andare a parlare direttamente con chi comanda la baracca, ovvero il faraone d'Egitto, e chiedere senza troppi giri di parole che conceda immediatamente la libertà agli ebrei (Esodo, capitolo 5).
Bisogna riconoscere che nello scambio di battute il re egiziano risulta inevitabilmente il malvagio della situazione, ma l'autore biblico gli concede una certa dose di ironia che ce lo rende quasi simpatico:
Mosè & Aronne: "Il Signore ti dà quest'ordine: lascia partire il mio popolo perché mi celebri una festa nel deserto!".
Faraone: "Ma chi è il Signore? Io non lo conosco"
Vista da fuori, ha ragione lui.
M. & A.: "Il Dio degli Ebrei ci è apparso. Vogliamo andare nel deserto per tre giorni di cammino e offrire un sacrificio in suo onore, altrimenti ci farà morire di peste". Dio, veramente, questo non lo aveva detto, a quanto ci risulta. I 'fratelli-ambasciatori' provano a buttarla sul patetico, insomma. Funzionerà?
F.: "Mosè e Aronne, perché volete allontanare gli ebrei dal lavoro?  Anzi, andate a lavorare anche voi! Proprio ora che questa gentaglia è diventata così numerosa, dovrei smettere di farli lavorare?"
Controlliamo per bene l'albero genealogico del ministro Brunetta: magari si scopre che ha lontane origini egiziane. Un sospetto ulteriormente alimentato dal paragrafo successivo.
Nello stesso giorno, il faraone ordina ai capi del popolo e ai sorveglianti: "Finora avete dato agli israeliti la paglia per fare i mattoni. Adesso basta! Vadano loro stessi a cercare la paglia! Ma obbligateli a fare lo stesso numero di mattoni di prima, non uno di meno! Sono dei fannulloni! Rendete dunque ancor più duro il lavoro di questa gente, e lo facciano senza tante storie!".
Ovviamente nei giorni seguenti gli ebrei non riescono a fare lo stesso numero di mattoni, vengono aspramente rimproverati e frustati. Provano ad andare a giustificarsi con il faraone Renato, ma lui si conferma inflessibile: "Siete dei fannulloni! Per questo dite Vogliamo andare a offrire sacrifici al Signore. Andate a lavorare!". Fossero già stati inventati i tornelli, li avrebbe sicuramente fatti installare all'ingresso della fornace, con fustigatore pronto a frustare i ritardatari.
Gli ebrei, contrariati, cominciano a chiedersi di chi sia stata la geniale idea di andare a chiedere la libertà al faraone Brunetta. Mosè e Aronne se li ritrovano tutti incazzati e minacciosi nei loro confronti. Allora Mosè, sfiduciato, si rivolge al Signore chiedendogli se non sia il caso di lasciar perdere. Ma Dio conferma il suo volere, anzi li invita a tornare dal re d'Egitto per reclamare la libertà. Mosè ha 80 anni, Aronne 83: per i due nonnetti, si avvicina il momento della riscossa.

giovedì 10 marzo 2011

Miracoli e misteri

Miracoli, misteri e passi inesplicabili
leggendo i primi capitoli dell'Esodo
L'Esodo si presenta fin da subito come un libro molto diverso dalla Genesi. Mentre il primo testo biblico sembra una specie di antologia composta da una serie di microracconti con vari protagonisti, il secondo ha l'ambizione narrativa di essere un unico racconto lungo (o romanzo breve, vedetela come volete), tutto incentrato sulle imprese di Mosè. Credo però che nessun editor dotato del benché minimo buon senso, oggi, riterrebbe l'Esodo pubblicabile così com'è. Intanto si fatica ad individuarne il genere letterario per inserirlo in una collana (azzardiamo un Fantasy Epico-Storico alla Valerio Massimo Manfredi?). Inoltre, fin dai primi capitoli, troviamo delle incongruenze che minano la coerenza interna dell'universo narrativo creato dall'autore. Tanto per cominciare: se al capitolo 1 il faraone ordina l'uccisione di tutti i neonati ebrei maschi e il solo Mosè si salva per miracolo (vedi post precedente), com'è possibile che al capitolo 2 Mosè divenuto adulto si ritrovi ad intervenire in favore di molti altri maschi ebrei suoi coetanei, uccidendo il sorvegliante egiziano che li costringe ai lavori forzati? Ancora più incoerente è scoprire, poco oltre, che Mosè ha un fratello maschio, Aronne: ma come, la mamma non ha dovuto nascondere anche lui o depositarlo in una culla sul Nilo per evitare che fosse ucciso? Mah, mistero.
Ad ogni modo, dopo avere ammazzato il sorvegliante, Mosè fugge per diversi anni in Palestina, dove si sposa con Zippora ed ha un figlio (Ghersom). Sembra destinato per sempre all'esilio, ma Dio decide di farlo rientrare in Egitto per guidare il suo popolo alla liberazione. Per manifestarsi e convincerlo, il Signore si presenta a Mosè con una serie di miracoli che sembrano quasi trucchi di illusionismo: prima gli parla dando voce ad un cespuglio che brucia senza consumarsi, poi gli consegna un bastone che si trasforma in serpente (e viceversa), quindi fa apparire e scomparire i segni della lebbra da una sua mano, e infine trasforma in sangue un po' d'acqua del Nilo versata sul terreno arido.
"Ma presentandomi agli israeliti, quale Dio devo dire che mi manda?" -chiede Mosè. "Dovrai rispondere: è il Dio che si chiama Io-Sono". Comprensibile che Mosè tema di non risultare granché credibile, a maggior ragione perché, per sua stessa ammissione, è timido e impacciato nel parlare. Oltre al repertorio di miracoli che potrà replicare davanti agli ebrei, allora, il Signore gli suggerisce di affidarsi a un abile portavoce: "Non c'è tuo fratello Aronne, il levita? Lui sa parlare bene, si rivolgerà al popolo a nome tuo. Io sarò con voi, e loro vi crederanno".
Sembra tutto definito una volta per tutte. Ma a questo punto accade l'imponderabile: Mosè con la famiglia s'incammina verso l'Egitto, quando una notte - cito testualmente - "Il Signore affronta Mosè e vuole farlo morire". Ma come, che senso ha? Perché? Mistero. A questo punto, però, interviene la moglie Zippora, in un modo truculento, inquietante e per noi lettori assolutamente incomprensibile: taglia con una pietra affilata il prepuzio del figlio, e con quello tocca il sesso di Mosè dicendo "Tu per me sei uno sposo di sangue!". Sembra una specie di rituale con tanto di formula magica. Evidentemente è quello giusto: "Allora il Signore risparmiò la vita di Mosè". Perché? Mistero. Chiudo il libro piuttosto turbato.

venerdì 4 marzo 2011

Il faraone Adolf

Il faraone Adolf mise in atto
lo sterminio di tutti i maschi ebrei
Ogni storia ha bisogno di un protagonista e di un antagonista, di un eroe e di un antieroe, di un buono e di un cattivo. Come molti sapranno già, l'eroe buono del secondo libro della Bibbia (l'Esodo) è Mosè: Dio lo sceglie per liberare il suo popolo dall'Egitto.
Con il ruolo del protagonista già assegnato, al faraone tocca inevitabilmente accontentarsi della parte del cattivo. L'autore biblico, tanto per rendercelo subito simpatico, lo presenta come l'ideatore della riduzione in schiavitù e dello sterminio sistematico degli ebrei: Hitler, insomma, non ha fatto altro che riproporre il piano messo in atto millenni prima da questo faraone innominato, che però sospetto fortemente si chiamasse Adolf.
E' trascorsa qualche generazione dai tempi di Giuseppe, l'ebreo divenuto viceré d'Egitto: la sua famiglia, una tribù di 70 persone, aveva dato inizio alla colonizzazione giudaica sulle sponde del Nilo (vedi post precedente). La comunità degli ebrei cresce prospera e feconda, ma con il passare del tempo viene guardata sempre meno di buon occhio dalla popolazione locale. Una xenofobia che il faraone Adolf, con le proprie esternazioni pubbliche, incoraggia un tantinello. Cito dal primo capitolo dell'Esodo - e non dal Mein Kampf, come potrebbe sembrare: "Questi israeliti sono ormai diventati più numerosi e più forti di noi! E' ora di prendere provvedimenti adatti contro di loro perché non aumentino ancora di più". Si passa dalle parole ai fatti: il faraone mette gli ebrei ai lavori forzati, utilizzandoli per costruire città, fabbricare mattoni, zappare i campi e trattandoli in modo disumano. Ma è solo il primo passo. Il secondo è quello di ordinare l'immediata uccisione di tutti i bimbi ebrei che nascono maschi. Le levatrici egiziane, però, non hanno cuore di mettere in atto un comando così crudele: "Le donne israelite sono forti e si arrangiano a partorire: quando arriviamo noi hanno già fatto, quindi non possiamo uccidere i neonati maschi", mentono al faraone per giustificarsi. Adolf non si scompone: "Vabbè, allora anche dopo nati gettate nel Nilo tutti i maschi degli ebrei, lasciate vivere solo le femmine!". Così, quando viene al mondo il piccolo Mosè, la sua mamma lo tiene nascosto clandestinamente per tre mesi e poi è costretta a tentare un gesto estremo per salvarlo da morte certa: prende un cesto di vimini, lo rende impermeabile con catrame e pece, ci mette dentro il pargolo e deposita il fagotto in riva al Nilo tra le canne. Spera che qualcuno passi di là e, invece di affogarlo, ne abbia compassione. Guarda caso, va a fare il bagno proprio in quell'ansa del fiume la figlia del faraone Adolf, che evidentemente non condivide la politica sterminatrice del babbo: "E' senz'altro figlio di ebrei", intuisce, ma anziché affogarlo ordina alle sue ancelle di affidarlo ad una donna ebrea perché lo allatti, decidendo di farlo crescere come suo figlio. Mosè è solo un piccolo frugoletto di tre mesi, ma dimostra già di avere un culo grande così.

martedì 1 marzo 2011

La morte del Padrino

Giacobbe, un Padrino in vita e in morte
L'uguaglianza tra gli uomini è una mera utopia. Non nasciamo tutti nelle stesse condizioni, non viviamo tutti allo stesso modo, e coerentemente nemmeno quando tocca lasciare questo mondo lo facciamo tutti alla stessa maniera. C'è morte e morte. E quella di Giacobbe, che di fatto chiude il primo libro della Bibbia, ovvero la Genesi, è senz'altro una morte extralusso, degna di un vero Padrino.
Che Giacobbe fosse un tipo al di sopra della massa, del resto, lo si era già ampiamente capito (vedi questo post e i successivi). Lo conferma l'accoglienza trionfale che riceve in Egitto da parte del faraone (capitolo 47), che lo tratta con grande deferenza perché è il padre del suo stimatissimo viceré, Giuseppe: il vecchio patriarca, i suoi figli, nuore e nipoti possono stabilirsi a loro piacere nel territorio di Gosen, il più fertile dell'Egitto, dove conducono un'esistenza serena e florida.
A 147 anni suonati, Giacobbe sente che ormai la sua lunga vita sta giungendo al termine. Convoca quindi il suo prediletto Giuseppe per esprimergli le sue ultime volontà: "Metti ora la tua mano sotto la mia coscia e promettimi che non mi seppellirai in Egitto". Chiariamo subito a scanso di equivoci: questa storia della mano sotto la coscia, che letta così suona come un inquietante approccio sessuale, pare sia semplicemente un gesto che nella cultura giudaica dell'epoca accompagnava i giuramenti solenni. E in effetti Giuseppe, tastandogli le cosce, giura al padre che lo seppellirà nel sepolcro dei suoi antenati, ricevendo in cambio la benedizione paterna. Ma è solo la prima delle benedizioni ante-mortem del Padrino: la seconda (capitolo 48) è riservata ai figli di Giuseppe, Manasse ed Efraim. Dimostrandosi ancora scaltro nonostante l'età e la malattia, Giacobbe decide deliberatamente di incrociare le mani, impartendo la sua benedizione con la destra (la più importante) al nipote minore Efraim anziché al maggiore Manasse: in questo modo rinnova a due generazioni di distanza quello che lui stesso era riuscito a fare "rubando" al fratello maggiore Esaù la benedizione del babbo Isacco (vedi qui).
Per finire in grande stile (capitolo 49), Giacobbe convoca quindi tutti i suoi 12 figli, a ciascuno dei quali riserva un breve verso che è una via di mezzo tra una benedizione e una profezia alla Nostradamus, gravida di metafore e allusioni: particolarmente curiosi i pensieri rivolti a Giuda ("Sei come un giovane leone che ha ucciso la sua preda e torna alla sua tana, come una leonessa sdraiata e accovacciata: chi oserà farti alzare?"), Issacar ("E' come un asino robusto gravato dalle ceste") e Beniamino ("E' come un lupo rapace che al mattino caccia le prede e alla sera divide le spoglie"). Roberto Giacobbo, illuminaci tu!
Una volta esalato l'ultimo respiro, Giacobbe viene imbalsamato (specialità della casa: ecco il vantaggio di morire in Egitto...), e in tutto il Paese si proclama un lutto di 70 giorni, al termine dei quali Giuseppe guida il corteo funebre per andare a seppellirlo in Palestina, come aveva giurato: oltre ai fratelli, lo accompagnano tutti i dignitari dell'Egitto, i funzionari del faraone, carri da guerra e cavalieri. Il Padrino Giacobbe è morto e sepolto.
Il suo erede, Giuseppe, muore a 110 anni, viene a sua volta imbalsamato ma il suo corpo rimane in un sarcofago in Egitto, senza essere portato nella terra dei suoi padri come avrebbe voluto. Poco da fare, il vero Padrino è uno solo. La Genesi è finita. Avanti con l'Esodo, per chi avrà tempo e voglia di seguirmi...