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domenica 2 giugno 2013

Il maestro di Nerone

Prima di Nerone, Abimelech
diede alle fiamme la sua città
A scuola abbiamo tutti sentito raccontare dell'imperatore romano Nerone, che secondo una leggenda metropolitana alimentata dai suoi detrattori diede l'ordine di appiccare il grande incendio che distrusse Roma nel 64 dopo Cristo.
Apprendo ora che ben prima di lui ci fu un altro re che diede alle fiamme la sua stessa città.
Ovviamente è quel bastardo di Abimelech, che prosegue degnamente la propria carriera di figlio di mignotta.
Dopo avere ammazzato i suoi settanta fratellastri, figli legittimi di Gedeone, l'illegittimo Abimelech è portato in trionfo come re di Sichem. Più che motivata la maledizione che scaglia contro di lui e tutti gli abitanti della città l'unico fratellastro rimasto in vita, il piccolo Iotam: "Vi auguro che da Abimelech esca un fuoco e bruci i proprietari di Sichem e Bet-Millo!" (Giudici, capitolo 9).
Poi Iotam si rifugia nella città di Beer. Mi pare il posto migliore per darsi all'alcol.
Dopo tre anni di dominio tranquillo, i capi di Sichem si ribellano contro Abimelech, istigati da un certo Gaal, da poco giunto in città a capo di una compagnia di vendemmiatori ambulanti. Informato dal suo fedele servitore Zebul, Abimelech fa subito abbassare la cresta al Gaal: in un'imboscata ammazza svariati suoi seguaci e lo costringe all'esilio assieme ai suoi fratelli.
Il giorno successivo, il re regola il conto in sospeso con gli abitanti di Sichem. Mentre questi se ne vanno ignari a coltivare i campi, "Abimelech avanzò rapidamente con il suo gruppo e prese posizione all'ingresso della città, mentre gli altri due gruppi piombarono su quelli che erano nei campi e li uccisero".
Può bastare? Ovviamente no. "Abimelech combatté per tutta la giornata e infine conquistò Sichem. Massacrò gli abitanti, rase al suolo la città e cosparse le sue rovine di sale". Ecco da dove i romani hanno tratto ispirazione per Cartagine.
Adesso forse può bastare. Come non detto. I proprietari della torre-roccaforte di Sichem, infatti, si sono rifugiati nel sotterraneo del tempio di El-Berit. Abimelech e i suoi uomini raggiungono il tempio, tagliano un ramo a testa da un albero, ammucchiano i rami contro il sotterraneo e appiccano le fiamme. "Il sotterraneo bruciò con tutti quelli che erano dentro. Morirono tutti gli abitanti della torre di Sichem, circa mille persone tra uomini e donne".
Ecco, adesso può bastare davvero. Ma lo scrivo sottovoce, che quando si ha a che fare con un bastardo del genere non si sa mai...

mercoledì 28 marzo 2012

Vengo anch'io? No, tu no...

Questo, forse, l'ultimo dialogo tra
Mosè e il Signore sul monte Nebo
Si potrebbe andare tutti quanti al tuo funerale, cantava Jannacci nel 1967.
E chissà se lo ha canticchiato anche il Signore a Mosè, per sdrammatizzare un po', quando lo ha chiamato e gli ha annunciato che presto sarebbe morto.
Siamo agli ultimi capitoli del Deuteronomio (dal 31 al 34).
"Il Signore disse a Mosè: Ormai si avvicina il momento della tua morte. Chiama Giosuè, e presentatevi alla tenda dell'incontro".
Immagino l'entusiasmo del centoventenne Mosè nel farsi accompagnare all'appuntamento dal suo erede designato. Fossi stato in lui, mi sarei dato malato. Il vegliardo, invece, con coraggio ammirevole affronta il suo destino.
Prima di porre fine ai suoi giorni terreni, il Signore ordina al suo fedele servitore di trascrivere e cantare al popolo un lunghissimo canto profetico, in cui si annunciano cicli alterni di fortune e disgrazie per il futuro di Israele.
Compiuto quest'ultimo dovere, Mosè può dunque abbandonarsi alla morte. La sua dipartita, più che la morte degna di un Padrino di Giacobbe che aveva chiuso la Genesi, per stessa ammissione di Dio ricorda molto da vicino la triste fine del fratello Aronne raccontata nei Numeri, quando lo abbiamo visto abbandonato da solo in cima ad una montagna. "In quello stesso giorno il Signore disse a Mosè: Va' su queste montagne degli Abarim, sulla cima del monte Nebo, nella regione di Moab di fronte a Gerico. Di là guarda la terra di Canaan, che io sto per dare in proprietà agli Israeliti. Morirai sul monte su cui sarai salito e raggiungerai i tuoi antenati nello stesso modo in cui tuo fratello Aronne è morto sul monte Or".
Mosè, rassegnato, benedice per l'ultima volta il suo popolo, tribù per tribù: almeno in questo, gli viene concessa un'ultima ora da condottiero venerato, proprio com'era accaduto a Giacobbe. Poi parte solo soletto verso la sua ultima ora. Dalla cima del monte Nebo ammira la Terra Promessa che gli rimarrà preclusa: "Io te la faccio vedere con i tuoi occhi, ma tu non vi entrerai!", tiene a ribadire fino all'ultimo il Signore. Un velo di sadismo evidenziato anche dal particolare, sottolineato dall'autore biblico, che "la vista di Mosè era ancora molto buona, ed egli era ancora nel pieno del suo vigore".
Me lo immagino, povero vecchio, mentre dal cucuzzolo della montagna ammirava in tutta la sua estensione questa terra vagheggiata e inseguita per quarant'anni, con i lucciconi agli occhi e in petto un magone grosso così, tentando per un'ultima volta di convincere il suo Signore: "Vengo anch'io?".
Niente da fare: a Dio piaceva Jannacci, e gli rispose canticchiando un ritornello sincopato...

giovedì 22 marzo 2012

Mosè VooDoo

Le maledizioni di Mosè
ricordano i riti VooDoo
Oggi, per lo più, le persone seguono una religione perché affidano a Dio le proprie speranze di una vita migliore, nel mondo terreno o in quello ultraterreno.
Ai tempi di Mosè, a quanto pare, una delle motivazioni psicologiche prevalenti era invece la paura: "Fai quello che ti ordina Dio, o sarai punito severamente". Una prassi che abbiamo già avuto modo di vedere frequentemente e fantasiosamente applicata nei primi libri della Bibbia.
Nei capitoli 27 e 28 del Deuteronomio, Mosè rinnova il campionario degli "spauracchi divini" elencando dettagliatamente una serie di maledizioni orribili, degne del più sadico rito VooDoo: a scagliarle sui colpevoli, secondo le sue indicazioni, dovranno essere le tribù di Ruben, Gad, Aser Zabulon, Dan e Neftali, dall'alto del monte Ebal.
Anche in questo caso, ce ne sono alcune che mi hanno particolarmente impressionato:
- "Maledetto chi indica a un cieco la strada sbagliata!". Però nulla vieta espressamente di gridare insulti ad un sordo voltato di spalle: almeno non ci hanno tolto tutti i divertimenti...
- Il nutrito elenco di maledizioni per i rapporti sessuali proibiti - è ormai evidente che si tratta di una piaga sociale dilagante tra gli israeliti - stavolta punisce con una maledizione specifica queste categorie di insaziabili libidionsi: "Chi dorme con una delle mogli di suo padre"; "Chi ha rapporti sessuali con qualsiasi animale"; "Chi dorme con sua sorella"; "Chi dorme con la suocera". Credo che il destino di tutti i componenti della famiglia Forrester di Beautiful sia segnato per sempre. Ci resta comunque un'ultima trasgressione sulla quale al momento Dio lascia correre: le cugine bonazze. Diamoci dentro.
- "Maledetto chi uccide qualcuno di nascosto". Se proprio dovete farlo, fatelo alla luce del sole. Al massimo sarete lapidati, ma vi eviterete il VooDoo.
Per chi poi  disubbidisce alle leggi di Dio, sono previste disgrazie indicibili che riempiono due pagine intere. Pesco anche in questo caso tra le più immaginifiche:
- "Sarà maledetto chi abita in città e chi abita in campagna". Provate a rifugiarvi al mare o in collina: vedi mai che siano zona franca. Magari vale anche la prima periferia urbana, ma non garantisco.
- "Il Signore vi colpirà con malattie che consumano, febbri e infiammazioni". E fin qui, acqua abbondante e qualche tachipirina forse potrebbero aiutare. Il vero problema è quello che segue: "Il Signore vi colpirà con ulcere, come gli Egiziani, con emorroidi, rogna e prurito, da cui non potrete guarire. Il Signore vi colpirà con pazzia, cecità e demenza. [...] Il Signore vi colpirà con terribili piaghe alle ginocchia e alle gambe: non si potranno guarire e si estenderanno sul vostro corpo dalla testa ai piedi". Direi che l'ammonimento è sufficientemente chiaro.
- "Quando uno si fidanzerà, un altro possederà la sua donna". Pure cornuti.
- "I vostri nemici vi ridurranno a un tale stato di necessità, che sarete costretti a mangiare i vostri bambini. [...] La donna più sensibile e delicata, che non aveva mai provato neppure a poggiare un piede per terra, tanto era sensibile e delicata, guarderà con ingordigia il marito che ama, il figlio e la figlia, persino la placenta uscita da lei, e il bambino che ha appena dato alla luce. Essa spera di poterli mangiare di nascosto". Vuoi vedere che Dante ha preso ispirazione da qui per il suo Conte Ugolino?

giovedì 17 novembre 2011

Occhio, malocchio, tori e finocchio

Il re Balak si rivolge
al fattucchiere Balaam
Una volta scoperta la predilezione di Dio per le battaglie cruente e distruttive, gli Israeliti ne approfittano per darci dentro: dopo i Cananei, tocca agli Amorrei del re Sicon e del re Og subire la stessa sorte. "Gli Israeliti sconfissero Og, i suoi figli e tutto il suo esercito. Li sterminarono senza risparmiarne nemmeno uno. Così occuparono il territorio del re Og". Basta liberare un po' di spazio, e il gioco è fatto.
Comprensibile, allora, che vedendo arrivare Mosè con tutta la banda, il re Balak sia leggermente preoccupato: "Questa massa di gente devasterà tutto, qui nelle vicinanze, come una mandria di buoi divora l'erba di un prato!". Il monarca prova a correre ai ripari (Numeri, capitoli 22-24). La sua idea è quella di assoldare uno iettatore professionista: Balaam, figlio di Beor, che abita a Petor - l'autore biblico non lo dice, ma io so per certo che ogni anno, ad agosto, ci facevano una memorabile Sagra del Fagiolo...
Balaam è noto a Balak sia come portafortuna, sia come menagramo: "So bene questo: chi tu benedici, è benedetto, e chi tu maledici, è maledetto!". In questo caso, gli serve appunto un bel malocchio ai danni degli Israeliti: "Forse, così, riuscirò a vincerli e a cacciarli dal mio territorio".
Il re invia dunque in due tornate i suoi  messaggeri da Balaam, provando a convincerlo con la promessa di ricompense sempre maggiori, ma il fattucchiere entrambe le volte si consulta con Dio che lo avverte di lasciar perdere, visto che gli Israeliti godono della sua protezione. La seconda volta, tuttavia, il Signore gli dice di seguire pure i messaggeri del re, in attesa di ulteriori indicazioni. Una raccomandazione che, strada facendo, viene ribadita con una modalità piuttosto singolare: l'asina su cui viaggia Balaam per tre volte vede l'angelo del Signore, si spaventa e tenta di deviare dal percorso; la terza volta la bestia cade addirittura a terra. Ogni volta Balaam la picchia, fino a che la povera asina, per intercessione divina, inizia a parlargli e a lamentarsi; il santone la minaccia, ma a quel punto interviene l'angelo in persona, che ricorda a Balaam di attenersi alle indicazioni di Dio - per inciso: teatrino divertente, ma narrativamente del tutto inutile.
Quando il fattucchiere arriva dal re - finalmente! - questi lo invita a salire sulla collina e a maledire dall'alto tutto l'accampamento degli Israeliti. Balaam compie il rito sacrificale di tori e montoni su sette altari appositamente predisposti, ma quando dalla sua bocca dovrebbe uscire la macumba, Dio al contrario gli ispira una benedizione per gli Israeliti. La scenetta si ripete identica per tre volte, con il re Balak che ogni volta immancabilmente s'inchézza, come direbbe Lino Banfi. Nell'ultima profezia, Balaam annuncia ogni fortuna per il futuro di Israele, e le peggiori disgrazie per gli altri popoli: sterminio, rovine, case incendiate, schiavitù, e chi più ne ha, più ne metta.
Come già accaduto in precedenza, l'autore biblico raggiunge l'apice stilistico in un finale sorprendente per la sua assurda inconcludenza. Dopo la profezia, infatti, ci aspetteremmo lo scoppio di una battaglia campale, l'invio di una piaga divina, o quantomeno una lite furibonda tra re e fattucchiere. Niente di tutto questo. "Poi Balaam si mise in viaggio per tornare a casa sua, e Balak se ne andò per la sua strada". Capolavoro.