giovedì 29 dicembre 2011

Le città invisibili

Anche nei Numeri si
elencano Città Invisibili
Leggendo i capitoli dal 32 al 34 dei Numeri, è quasi inevitabile volare con il pensiero alle Città Invisibili di Calvino. Il testo biblico, infatti, ci presenta l'elenco delle città attraversate dagli israeliti durante il loro quarantennale peregrinare nel deserto, e di quelle che si preparano a conquistare nella Terra Promessa.
Proprio come quelle immaginate da Calvino, che sceglie per ogni sua città invisibile un nome di donna insolito e misterioso, anche queste città bibliche, altrettanto invisibili, sono caratterizzate da una toponomastica che suona curiosa e fantasiosa per il lettore qualunque, contemporaneo e italiano, che io sono. Del resto, fin dalla Genesi i nomi bizzarri si stanno rivelando una costante ricorrente nella Bibbia.
Mi viene da chiedermi come ci si potesse stare, in queste antiche città... Essendo invisibili e ormai perdute, non mi resta che fantasticare e cazzeggiare, a partire dall'unico elemento che conosco: il loro nome, appunto.
Per esempio, provo profonda pena pensando alle interminabili fatiche dei muratori che tentavano senza alcun risultato di sistemare le abitazioni sempre scassate di Caseròt.
Cuochi sopraffini rallegravano i palati degli abitanti di Chesbòn, che dopo l'assaggio di questi manicaretti erano soliti esclamare gaudenti: "Chesbòn!". Vi era un piatto, però, in cui eccellevano senza dubbio gli chef di Migdol: il risotto con gli ossobuchi.
Nessuno temette mai di essere tradito dai cittadini di Eleale, mentre qualche problema si riscontrava per le liti tra ubriachi ad Ebeòn, per non parlare dei continui e furibondi tumulti che insanguinavano le strade di Rissa. Nulla, comunque, a confronto della lotta senza quartiere che infuriava a Machelòt
C'era poi una città in cui gli adolescenti non tenevano a freno gli ormoni: fuori dalle scuole, i ragazzini e le squinziette esibivano fieri i lividi violacei sul collo provocati da baci violenti con risucchio, e facevano a gara a chi ne mostrava di più e più evidenti. Questa città era Succot.
A Ritma tutti avevano un innato senso del tempo nel suonare, cantare e ballare, qualche secolo dopo, qualcuno iniziò a produrre proprio lì una serie di automobili Fiat dai fanali tondi.
Se ti si rompeva qualcosa fatto in vetro o porcellana, in qualche modo te l'avrebbero riaggiustata a Tacat, mentre se avevi un cane indisciplinato potevi affidarlo con fiducia ai teutonici istruttori di Bene-Iaakan.
Sempre di origine teutonica erano i raffinatissimi, coltissimi e - diciamolo - oltremodo schizzinosi abitanti di una città dedita alla musica, in cui si organizzava un festival annuale di "sinfonie preveggenti" dedicato ai più grandi compositori tedeschi dei secoli successivi, da Beehtoven a Brahms, con un'unica, ostinata, eccezione, tuttora incomprensibile: era la città di Nobach.
Vi fu infine una città dal triste destino, che passò alla storia come "la città dei bordelli terrificanti". Il vero nome di questa città era Mara. Per invogliare i turisti a visitarla e a frequentarne il celebre quartiere a luci rosse, la popolazione locale decise di fare erigere alla principale porta d'ingresso un'enorme statua con le sembianze di una donna provocante. Allo scultore fu lasciata la libertà di prendere come modello una donna qualunque, purché avesse lo stesso nome della città. Sfiga volle che fossero le cinque del pomeriggio, e in televisione stessero passando La Vita in Diretta...


martedì 20 dicembre 2011

Gli Spietati

Mosè è più Spietato degli Spietati
Altro che Clint Eastwood e compagnia sparante. L'Oscar per il Più Spietato degli Spietati se lo aggiudica senza ombra di dubbio Mosè, che torna protagonista, più vecchio e più incazzato che mai, nel capitolo 31 dei Numeri. A onor del vero, bisogna dire che Dio lo istiga e lo provoca un tantinello, ricordandogli senza troppi giri di parole che presto tirerà le cuoia: "Prima di morire, vendicati sui Madianiti, per quel che hanno fatto gli Israeliti!".
Già, i Madianiti, e soprattutto le donne madianite: quelle che avevano sedotto i giovanotti del popolo eletto, facendoli convertire e condannandoli così all'ira funesta e vendicativa del Signore.
Forse per ingraziarsi Dio e guadagnarsi  un posticino bello comodo nell'aldilà, Mosè decide di fare le cose in grande e organizza una guerra violenta e sanguinaria, assecondando gli ormai arcinoti gusti del Signore.
Contro i Madianiti si mette allora in moto un'armata di 12.000 soldati, 1.000 per ogni tribù, accompagnati dal sacerdote Finees. La strage è presto compiuta: ammazzati i cinque re madianiti, fatti prigionieri donne e bambini, requisiti animali, greggi e ogni bene, inceneriti gli accampamenti e incendiate le cittàNessuno tra gli Israeliti viene ucciso: in segno di ringraziamento, i comandanti offrono al Signore 170 chilli d'oro.
Un lavoro coi fiocchi, tanto è vero che l'esercito torna tutto tronfio da Mosè, portandogli il bottino, le donne e i bambini: i soldati già pregustano la ricompensa, o quantomeno l'encomio pubblico da parte del patriarca. L'accoglienza che ricevono, però, è ben diversa. "Allora Mosè andò in collera con i comandanti dei reparti e delle squadre tornati dalla battaglia. Egli disse loro: Come? Avete lasciato in vita le donne? Lo sapevate che proprio le donne madianite, istigate da Balaam, hanno spinto gli Israeliti a commettere gravi colpe verso il Signore.[...] Ora uccidete tutti i ragazzi e anche le donne che sono appartenute a un uomo, ma conserverete in vita per voi le ragazze ancora vergini".
Va bene l'ira vendicativa, ma perché sprecare tanto ben di Dio? Mi pare giusto. Il Signore stesso indica quindi a Mosè come spartire il bottino: sulla base delle sue indicazioni, 337.500 pecore, 36.000 buoi, 30.500 asini e 16.000 ragazze vergini spettano ai combattenti; altrettanti per ogni "specie" (è significativo che le ragazze vergini siano comprese nell'elenco al pari delle altre bestie...) vengono divisi tra il resto del popolo; al sacerdote Eleazaro viene invece consegnata la parte riservata al Signore, cioè 675 pecore, 72 buoi, 61 asini e 32 vergini, e lo stesso quantitativo viene concesso anche ai Leviti.
Ora, mi è chiaro che gli animali sono destinati al sacrificio rituale. Ma cosa se ne farà Eleazaro delle vergini riservate al Signore? Potete dire la vostra cliccando sul sondaggio inserito nell'apposita Area (scorrete la colonna a destra dello schermo).
"Allora, sto uscendo. Se vedo qualcuno là fuori l'ammazzo. Se qualche figlio di puttana mi spara addosso non ammazzo soltanto lui, gli ammazzo anche la moglie e tutti i suoi amici. E poi gli brucio anche la casa. Meglio che nessuno spari. Voglio che facciate per Ned un bel funerale! E non azzardatevi più a sfregiare prostitute! Altrimenti torno e vi ammazzo tutti, figli di puttana". - Clint Eastwood/William Munny, Gli Spietati. O forse era Mosè nei Numeri. Adesso controllo.

giovedì 15 dicembre 2011

Promesse da marinaie

Una tipica donna israelita
Ci si può fidare della promessa di una donna? Dio non ne pare particolarmente convinto: il sospetto è che se la sia legata al dito ancora ai tempi di Eva, la mangiamele proibite a tradimento che ci ha fatti sfrattare dal Paradiso Terrestre.
Ecco perché, d'autorità, il Signore decide che le promesse delle donne valgono solo fino al parere contrario dell'uomo che le ha in "tutela": se il maschio dispone diversamente, la promessa di una femmina decade all'istante.
La norma è esplicitata con tanto di esempi pratici al capitolo 30 dei Numeri: "Supponiamo invece questo caso: una ragazza, che vive ancora in casa di suo padre, fa una promessa al Signore o si impegna a qualche rinunzia. Se suo padre non le fa obiezioni quando viene a saperlo, allora essa deve mantenere i suoi impegni. Ma se, al contrario, il giorno stesso che ne è informato, il padre si oppone, allora tutte le sue promesse e i suoi impegni non hanno più valore. Il Signore riterrà la ragazza sciolta dal suo obbligo, perché suo padre le ha impedito di mantenere le sue promesse".
L'identico discorso vale per una fanciulla che faccia una promessa e poi si sposi (se il voto della neo-moglie non sta bene al neo-marito, si autodistrugge all'istante come un messaggio segreto per James Bond), e a maggior ragione per una moglie che s'impegni a fare o non fare qualcosa all'insaputa del marito. Le promesse delle donne israelite, dunque, sono per legge delle promesse da marinaie, in balia dei maremoti che possono essere provocati dai pensieri tempestosi del loro uomo: solo a lui Dio concede l'autorità per lasciarle galleggiare o farle affondare.
Se non altro il maschio, dal momento in cui viene a conoscenza dell'esistenza del voto, ha meno di 24 ore di tempo per pensarci: se non si esprime entro la fine di quel giorno, la promessa della donna rimane valida.  Un "diritto di recesso" piuttosto breve, direi: oggi perlomeno abbiamo 7 giorni lavorativi  per decidere di rispedire al mittente le sei confezioni di pillole superdimagranti o il set da 36 coltelli miracolosi acquistati d'impulso guardando una televendita...
C'è comunque un'eccezione che consente alla donna di essere libera e padrona delle sue promesse: basta che sia vedova o divorziata. Una volta di più, molto meglio sole, che male accompagnate.

lunedì 12 dicembre 2011

La Settimana del Colesterolo

Ecco come appariva il cuore di un
Israelita dopo la Festa delle Capanne
Dopo la faticaccia di avere contato uno per uno tutti gli Israeliti, Dio e il narratore biblico sembrano prendersi un po' di pausa per tirare il fiato. In questo intermezzo, veniamo informati che anche le figlie femmine, in mancanza di maschi, hanno diritto all'eredità paterna (è una precisa indicazione del Signore, che una volta tanto si dimostra dunque a favore dell'emancipazione femminile). Veniamo inoltre a sapere che manca poco alla morte di Mosè: Dio ha già scelto Giosuè come suo successore alla guida del popolo eletto (Numeri, capitolo 27).
Viene poi fissato un lungo e dettagliato tariffario in sacrifici animali che abbina con precisione ogni singola festa religiosa ad un esatto numero di tori, montoni capri, e agnelli da sgozzare (capitoli 28 e 29). Cambiano le stagioni, ma il menu è in effetti un po' monotono. Tanto per rendere l'idea, ecco quanto prescritto solo per la settimana della Festa delle Capanne, il miglior esempio possibile di quanto si verifica anche nelle altre festività: al primo giorno, Dio reclama un sacrificio di 13 tori, 2 montoni, 14 agnelli, 1 capro; al secondo giorno, 12 tori, 2 montoni, 14 agnelli, 1 capro; al terzo, 11 tori, 2 montoni, 14 agnelli, 1 capro; al quarto, 10 tori, 2 montoni, 14 agnelli, 1 capro; al quinto, 9 tori, 2 montoni, 14 agnelli, 1 capro; al sesto, 8 tori, 2 montoni, 14 agnelli, 1 capro; al settimo, 7 tori, 2 montoni, 14 agnelli, 1 capro; ottavo e ultimo giorno, 1 toro, 1 montone, 7 agnelli, 1 capro. In totale, in otto giorni, vengono quindi offerti in sacrificio al Signore qualcosa come 71 tori, 15 montoni, 8 capri e ben 105 capri. Tutti maschi, di un anno e senza difetti, ça va sans dire.
L'autore biblico non lo specifica, ma mi auguro che al nono giorno siano previsti un passato di verdura scondito e delle analisi del sangue per dare un'occhiata al colesterolo, che non si sa mai...

mercoledì 30 novembre 2011

Chiuso per inventario

Nuovo censimento tra gli Israeliti: quelli
del precedente sono quasi tutti morti...
Già all'inizio del libro dei Numeri Dio aveva chiesto a Mosè di fare un censimento dettagliato delle 12 tribù d'Israele. Dopo averne ammazzati a migliaia con le varie punizioni, il Signore rischia però di perdere il conto dei suoi figlioli superstiti. Visto che siamo ancora nel libro dei Numeri (capitolo 26), meglio allora approfittarne per un secondo censimento, che non guasta mai. In totale, gli Israeliti sono ora 601.730: nel conteggio sono calcolati solo i maschi sopra i vent'anni, in grado di essere arruolati nell'esercito, tra i quali verrà spartita la Terra Promessa. A loro si aggiungono i Leviti, destinati ad occuparsi della custodia, trasporto e fabbricazione di tutto ciò che serve al culto, ma esclusi dalla spartizione dei territori: la tribù dei "sacrestani" conta 23.000 maschi dal mese di vita in su.
Come da tradizione, fioccano nel popolo di Dio i nomi bizzarri, almeno per un lettore italiano contemporaneo. Tra i miei preferiti, segnalo Pallu (il suo modo di conversare, caratterizzato da una marcata cadenza sarda, risultava spesso pedante e noioso), Agghi (maestro del ricamo a punto croce), Tola (fabbricava cucine su misura), Iasub (esploratore dei fondali marini di origini teutoniche), Beker (stracciava tutti a tennis), Sucam (aveva una vera e propria ossessione per il sesso orale, che reclamava da qualunque donna già nell'istante in cui le si presentava: "Piacere, Sucam!").
Alla fine del conteggio, risulta che gli Israeliti del precedente censimento sono tutti morti, a parte Mosè, Caleb e Giosuè. Che il Signore sia un po' pentito di aver fatto piazza pulita? Ne dubito. Del resto, lo cantavano anche i Neri Per Caso: "Quando c'è censimento, non c'è mai pentimento". Chiedo umilmente venia a chi si ostina a leggermi: verranno battute e post migliori. Forse.

martedì 22 novembre 2011

Ti amo da morire

Gli amanti Zimri e Zur muoiono
infilzati insieme dalla lancia di Finees
"Che non si muore per amore, è una gran bella verità". Mi spiace contraddirti, carissimo Lucio Battisti, ma il capitolo 25 dei Numeri sembra dimostrarci l'esatto contrario: d'amore si può morire, eccome. Di una morte tremenda e cruenta, per di più, se questo amore non piace a Dio.
Onestà per onestà, gli Israeliti, nel caso specifico, se la vanno a cercare. Non solo cominciano ad "avere rapporti con le donne moabite" (l'autore biblico non esplicita la natura di questi rapporti, ma dubito si trattasse di transazioni commerciali o di relazioni diplomatiche), ma pensano bene di farsi convertire: "esse li spinsero a offrir sacrifici ai loro dèi. Gli Israeliti presero parte ai loro pasti sacri e adorarono i loro dèi. Si dedicarono in particolare al culto del dio Baal di Peor". Dato il nome del dio in questione, mi viene da sospettare che le prestazioni sessuali dei maschi israeliti non fossero particolarmente generose, e le donne moabite sperassero in un intervento divino per aumentare portata e prestanza dei loro gingilli riproduttivi.
Di fronte a una sbandata così evidente dei suoi adorati figlioli, Tatadìo deve intervenire prontamente con un bonario buffetto correttivo per ricondurli sulla retta via. "Il Signore disse a Mosè: Prendi i capi del popolo e falli impiccare alla mia presenza in pieno giorno". Il patriarca provvede, ordinando di uccidere tutti gli uomini che abbiano reso culto a Baal di Peor.
Ma l'amore, nella sua follia, sa andare oltre la paura di perdere la propria vita. Il tragico eroe romantico di questa storia è Zimri, figlio di Salu, della tribù di Simeone, che decide di non nascondere la propria passione e si presenta nel bel mezzo dell'accampamento israelita mano nella mano con la sua amata Cozbi, topolona madianita figlia di un certo Zur.
Zimri e Zur, profeti del libero amore, non si curano degli sguardi torvi degli Israeliti, e se ne entrano nella tenda dell'uomo per consumare la loro passione. "A tale vista il sacerdote Finees, figlio di Eleazaro e nipote di Aronne, si alzò in mezzo all'assemblea e afferrò una lancia; seguì quell'uomo, penetrò nella tenda dove stava con la madianita e li uccise tutti e due con un colpo di lancia in pieno ventre".
Il Signore dimostra di apprezzare lo spiedino umano misto: "Il flagello che si era abbattuto sugli Israeliti cessò subito. A causa di esso erano già morte ventiquattromila persone".
Ventiquattromila. Come i baci di Celentano, pensa un po'. Aprire con Battisti e chiudere con Celentano: non sarebbe male. Per dovere di cronaca, devo tuttavia aggiungere che Dio esige il finale pirotecnico: confermando la sua passione per le scene di distruzione di massa, ordina a Mosè di attaccare e sterminare i Madianiti. Sull'altro versante, il dio Baal preferisce non intervenire in loro difesa, lasciando che se la sbrighino da soli. Non va benissimo, ma nessuno sopravvive per protestare.

giovedì 17 novembre 2011

Occhio, malocchio, tori e finocchio

Il re Balak si rivolge
al fattucchiere Balaam
Una volta scoperta la predilezione di Dio per le battaglie cruente e distruttive, gli Israeliti ne approfittano per darci dentro: dopo i Cananei, tocca agli Amorrei del re Sicon e del re Og subire la stessa sorte. "Gli Israeliti sconfissero Og, i suoi figli e tutto il suo esercito. Li sterminarono senza risparmiarne nemmeno uno. Così occuparono il territorio del re Og". Basta liberare un po' di spazio, e il gioco è fatto.
Comprensibile, allora, che vedendo arrivare Mosè con tutta la banda, il re Balak sia leggermente preoccupato: "Questa massa di gente devasterà tutto, qui nelle vicinanze, come una mandria di buoi divora l'erba di un prato!". Il monarca prova a correre ai ripari (Numeri, capitoli 22-24). La sua idea è quella di assoldare uno iettatore professionista: Balaam, figlio di Beor, che abita a Petor - l'autore biblico non lo dice, ma io so per certo che ogni anno, ad agosto, ci facevano una memorabile Sagra del Fagiolo...
Balaam è noto a Balak sia come portafortuna, sia come menagramo: "So bene questo: chi tu benedici, è benedetto, e chi tu maledici, è maledetto!". In questo caso, gli serve appunto un bel malocchio ai danni degli Israeliti: "Forse, così, riuscirò a vincerli e a cacciarli dal mio territorio".
Il re invia dunque in due tornate i suoi  messaggeri da Balaam, provando a convincerlo con la promessa di ricompense sempre maggiori, ma il fattucchiere entrambe le volte si consulta con Dio che lo avverte di lasciar perdere, visto che gli Israeliti godono della sua protezione. La seconda volta, tuttavia, il Signore gli dice di seguire pure i messaggeri del re, in attesa di ulteriori indicazioni. Una raccomandazione che, strada facendo, viene ribadita con una modalità piuttosto singolare: l'asina su cui viaggia Balaam per tre volte vede l'angelo del Signore, si spaventa e tenta di deviare dal percorso; la terza volta la bestia cade addirittura a terra. Ogni volta Balaam la picchia, fino a che la povera asina, per intercessione divina, inizia a parlargli e a lamentarsi; il santone la minaccia, ma a quel punto interviene l'angelo in persona, che ricorda a Balaam di attenersi alle indicazioni di Dio - per inciso: teatrino divertente, ma narrativamente del tutto inutile.
Quando il fattucchiere arriva dal re - finalmente! - questi lo invita a salire sulla collina e a maledire dall'alto tutto l'accampamento degli Israeliti. Balaam compie il rito sacrificale di tori e montoni su sette altari appositamente predisposti, ma quando dalla sua bocca dovrebbe uscire la macumba, Dio al contrario gli ispira una benedizione per gli Israeliti. La scenetta si ripete identica per tre volte, con il re Balak che ogni volta immancabilmente s'inchézza, come direbbe Lino Banfi. Nell'ultima profezia, Balaam annuncia ogni fortuna per il futuro di Israele, e le peggiori disgrazie per gli altri popoli: sterminio, rovine, case incendiate, schiavitù, e chi più ne ha, più ne metta.
Come già accaduto in precedenza, l'autore biblico raggiunge l'apice stilistico in un finale sorprendente per la sua assurda inconcludenza. Dopo la profezia, infatti, ci aspetteremmo lo scoppio di una battaglia campale, l'invio di una piaga divina, o quantomeno una lite furibonda tra re e fattucchiere. Niente di tutto questo. "Poi Balaam si mise in viaggio per tornare a casa sua, e Balak se ne andò per la sua strada". Capolavoro.

mercoledì 9 novembre 2011

Morsi & Morti

Il morso mortale di un serpente:
niente di meglio contro i capricci
Ma quanto ci mancava Tatadìo? Confesso di essere ormai diventato un fan sfegatato dell'educatrice più severa e violenta della storia dell'umanità. Non appena i suoi figlioli Israeliti fanno i capricci, il Signore li punisce con generosi scapaccioni mortali di qualunque genere: dai fuochi assassini ai terremoti inghiottitori, passando per malattie incurabili e lapidazioni istantanee.
Nel capitolo 21 dei Numeri, finalmente, Tatadìo ritorna ad essere l'assoluta protagonista: un rientro sulle scene in grande stile, che non delude le attese delle sue folte schiere di ammiratori - se vi volete aggiungere, votatela  con un clic sul sondaggio che trovate scorrendo la colonna di destra dello schermo.
Già una volta, nel deserto, gli Israeliti si erano lamentati per la fame, per la sete, e soprattutto per avere ormai la nausea da manna; evidentemente però si sono dimenticati che Tatadìo li aveva castigati infliggendo loro una tremenda indigestione di quaglie. Viene il sospetto che, a furia di punizioni, i superstiti di quell'epoca siano ormai pochissimi, e la nuova generazione non abbia ancora imparato la lezione. Meglio dar loro una rinfrescata.
Il popolo, sconfortato, torna dunque a protestare contro Dio e contro Mosè: "Perché ci avete fatto lasciare l'Egitto? Per farci morire nel deserto? Siamo senza pane e senz'acqua, e ci è ormai venuta la nausea per la manna, un cibo da miseria!".
Troppo frignoni, per i miei gusti: qui ci vuole Tatadìo. Che, puntuale, interviene risoluta e ci sorprende con un castigo davvero originale, da riutilizzare sicuramente quando i nostri bambini si lamentano perché non vogliono gli zucchini come contorno: "Il Signore mandò contro di loro serpenti velenosi, i quali morsero un gran numero d'Israeliti, che morirono".
Indovinate un po'? Funziona subito!
"Il resto del popolo andò da Mosè e gli disse: Abbiamo fatto male a criticare il Signore e a criticare te. Ma tu prega il Signore perché allontani da noi i serpenti".
Eh no, carini, troppo comodo. Meglio che i serpenti restino, tanto perché vi sia chiara la lezione. Nella sua infinita bontà, Tatadìo tuttavia concede ai suoi figlioli di provare solo dolore, senza più morire. "Allora il Signore disse a Mosè: Fa' un serpente di metallo e fissalo in cima a una pertica. Chi sarà morso da un serpente e guarderà quello di metallo, salverà la propria vita!".
Non solo una punizione esemplare, ma addirittura un castigo che stimola l'attività fisica e l'attenzione dei vispi Israeliti: Tatadìo, sei impagabile!

venerdì 4 novembre 2011

Terminators


A Dio piacciono gli Israeliti sterminatori
A furia di ricevere punizioni corporali che il più delle volte si traducono in morti atroci, gli Israeliti credono di avere indovinato i gusti del loro Signore: spietato e tendente al sanguinario. Probabilmente un grande fan di Tarantino e Romero.
Ci avranno visto giusto? Non resta che provare. L'occasione propizia si presenta al capitolo 21 dei Numeri, quando Arad, re dei Cananei, attacca il popolo di Dio mentre transita per la strada di Atarim, facendone alcuni prigionieri.
E' a questo punto che gli Israeliti pensano di stuzzicare la passione di Dio per il pulp-splatter: "Se tu ci fai sconfiggere questo popolo, destineremo allo sterminio le sue città".
Proposta allettante, per uno che ama bruciare viva la gente, farla inghiottire dal terreno o farla lapidare. Chissà se accetterà...
"Il Signore ascoltò l'invocazione degli Israeliti e diede loro la vittoria su quei Cananei. Gli Israeliti li uccisero e distrussero completamente le loro città. Appunto per questo quella regione fu chiamata Corma (lo Sterminio)".
Dio si gusta il film in diretta, evidentemente compiaciuto: questo Terminators in 3D, nel suo personalissimo quadernetto delle recensioni, risulta premiato con cinque stellette su cinque.

lunedì 31 ottobre 2011

Triste, solitario y final

Aronne: solo e abbandonato come
un cagnolino ai bordi della strada
Anch'io ho un cuore. Non posso fare a meno di commuovermi, ogni estate, quando l'autorevole Studio Aperto nei dieci minuti finali dello show - non vorrete mica chiamarlo telegiornale, dai... -  mi ricorda che in Italia ci sono centinaia di figli di puttana che abbandonano i cani lungo le strade per andarsene in ferie. Oggi non è estate, anzi siamo alla vigilia del giorno autunnale per eccellenza: quello della commemorazione dei defunti. Eppure, forse complice la circostanza, mi ritrovo a provare quella stessa vena di compassione, di struggimento autentico e profondo, leggendo della triste morte del nostro amico Aronne (Numeri, capitolo 20).
Proprio quel Dio che sembrava considerarlo un po' il suo cocco, quasi più del fratello Mosè, tanto da averlo perdonato anche dopo l'immane casino del Vitello d'Oro, stavolta gliele fa pagare tutte in un colpo solo, e con gli interessi. Il Signore lo aveva già annunciato: nessuno dei due fratelli sarebbe entrato vivo nella Terra Promessa. (Detta tra noi, se davvero se l'è presa così tanto solo per un bastone battuto sulla roccia nel modo sbagliato, deve darsi una regolata anche lui. Va bene tutto, ma qui si sta esagerando...).
Ad ogni modo, il primo a pagare pegno è proprio Aronne. Giunti dalle parti del monte Or, Dio lo invita a fare un'escursione fino alla cima in compagnia di Mosè e del figlio Eleazaro. E' subito chiaro che ad attenderli non troveranno una confortevole tendina per fermarsi a campeggiare, né una coperta e un cestino da pic-nic: "Là toglierai ad Aronne i suoi vestiti sacerdotali e li farai indossare a suo figlio Eleazaro - dice il Signore a Mosè -. Aronne morirà lassù".
Tutto si svolge in un clima di mesto silenzio. I tre arrivano in cima, Mosè prende i vestiti ad Aronne e li consegna ad Eleazaro, quindi i due scendono e lo lasciano là. "Tutta la comunità degli Israeliti capì che Aronne era morto". Però, che intuito... Un ultraottantenne abbandonato solo e nudo in cima ad una montagna, che fine potrà mai fare? Mica ci vuole Einstein.
Se ne va così, come un bastardino nero sul ciglio del Grande Raccordo Anulare, uno dei personaggi più involontariamente comici incontrati finora. Triste, solitario y final, direbbe Osvaldo Soriano.
Ciao Aronne, rimarrai per sempre nel mio cuore. Assieme alle balene spiaggiate e ai cagnolini abbandonati di Studio Aperto.

mercoledì 26 ottobre 2011

Campioni di Risiko

Il piccolo esercito israelita deve
fronteggiare la grande armata edomita
Per arrivare alla Terra Promessa, dopo tanto deserto, gli Israeliti si trovano ad attraversare regioni abitate da altri popoli. Nessuno di questi, però, pare disposto a stendere a Mosè e soci un tappeto rosso: se vorranno passare, gli ebrei dovranno farlo con la forza. Tocca combattere, insomma. E quando si combatte, innanzitutto, occorre scegliere la strategia più appropriata.
Dopo essersi dissetati grazie ad un nuovo colpo di bastone miracoloso di Mosè, che fa sgorgare acqua da una roccia (ma senza volerlo commette qualche errore di procedura e fa incavolare Dio, che per ripicca gli promette che né lui, né Aronne entreranno vivi nella Terra Promessa), gli Israeliti si mettono in marcia da Kades verso il territorio del re di Edom (Numeri, capitolo 20)
Per essere sicuri di non andare incontro a rogne, inviano dei messaggeri a parlamentare con il monarca: "Ti preghiamo di permetterci di attraversare il tuo territorio. Noi non calpesteremo né i campi, né le vigne e non berremo l'acqua dei pozzi. Seguiremo la strada principale, senza deviare mai da essa, finché non avremo attraversato il tuo territorio".
Non so se il re di Edom fosse un esponente leghista, ma dimostra di non gradire affatto l'idea di una carovana di nomadi in transito. La risposta è secca e decisa, da sceriffo inflessibile: "Non passate per il mio territorio. Se ci proverete, vi farò guerra!".
Gli Israeliti provano a fissare un prezzo per il pedaggio: "Se avremo bisogno d'acqua per noi e per il nostro bestiame, te la pagheremo".
Niente da fare, il re non si fa comprare: "Non passate di qua!".
Alle parole seguono i fatti. "Gli Edomiti si mossero contro gli Israeliti con un esercito grande e forte". Il popolo del Signore, dovendo decidere se accettare o meno lo scontro, dimostra di avere alle spalle anni di esperienza nei tornei di Risiko, e applica senza indugio la prima regola aurea: se tu hai solo tre carrarmatini e lo Stato confinante ne ha dodici, ma che cazzo attacchi a fare?
L'autore biblico sintetizza il tutto con una frase semplice, breve e quanto mai significativa, che a mio avviso rappresenta un piccolo capolavoro: "Allora gli Israeliti presero un'altra direzione".
Chiamateli vigliacchi, ma per me sono campioni.

mercoledì 19 ottobre 2011

Un bastone prodigioso

Un bastone notevole è
 sempre simbolo di potere
Se siete capitati su questo post per caso, inserendo sulla casella di ricerca di google parole come "Rocco Siffredi", "Mandingo", "Suifan", "allungamento del pene", "prolungare l'erezione" o "i neri ce l'hanno più lungo", e il titolo vi aveva ingolosito, mi spiace deludervi: siete fuori strada. Parecchio.
Il bastone in questione, infatti, è quello di Aronne. Ed essendo lui un vecchierello ultraottantenne, non mi riferisco di certo al suo prodigioso stantuffo sessuale.
Parliamo invece di una vera verga di legno, nel senso letterale del termine, che alla fine del capitolo 17 dei Numeri diviene simbolo della supremazia del sacerdote prediletto dal Signore - e in questo senso sì che Freud e i riferimenti al fallo come simbolo del potere maschile hanno ottime ragioni di essere tirati in causa. Ma niente segreti per diventare superdotati; fatevene una ragione.
Già il fratello Mosè, con il bastone consegnatogli da Dio, aveva fatto diversi miracoli sorprendenti raccontati nell'Esodo. Stavolta, sempre grazie ad un bastone, è Aronne che ci fa un figurone, redimendosi così una volta per tutte dalla figuraccia rimediata agli occhi del popolo in occasione del disastro del Vitello d'Oro.
Dio dice a Mosè:"Ordina agli Israeliti che ogni capotribù ti consegni un bastone. Prenderai dunque i dodici bastoni e inciderai su ciascuno di essi il nome della tribù corrispondente. Sul bastone della tribù di Levi scriverai il nome di Aronne. [...] Dal bastone della persona che io ho scelto, spunteranno gemme. Così farò finire una volta per sempre le critiche che gli Israeliti muovono a me nei vostri riguardi".
Mosè requisisce i bastoni e li porta alla Tenda dell'incontro. Il giorno seguente, quando va a riprenderli, sulla verga di Aronne non solo sono spuntate le gemme promosse, ma in più anche fiori e persino mandorle mature. Dio ordina che questo bastone prodigioso sia portato davanti all'Arca dell'Alleanza: "Sarà conservato là, per ricordare agli Israeliti che sono un popolo ribelle - raccomanda a Mosè -. Così porrai fine alle critiche che mi fanno, ed essi non correranno più il rischio di morire".
Ora, volendo abbozzare un'analisi semiologica, mi rimane oscuro come un qualunque israelita, passando per caso di là, potesse associare l'immagine di un bastone con gemme, fiori e mandorle al messaggio "Siamo un popolo ribelle: non dobbiamo più criticare il Signore, altrimenti moriremo". Chiaro e intuitivo, direi proprio di no. Qualcuno magari avrebbe potuto equivocare, e leggerci ad esempio un ammonimento dei mariti alle mogli: "Accontentatevi dei fiori: se continuate a reclamare le gemme, vi bastoneremo sul sedere fino a spellarlo come una mandorla matura!". I post-it ci hanno davvero semplificato la vita.

venerdì 14 ottobre 2011

Spartacus

Core, come Spartaco,
capeggiò una ribellione
Quando pochi comandano su molti, prima o poi va a finire male.
I Romani lo impararono con la ribellione di Spartaco, il gladiatore che guidò gli schiavi ad una sommossa capace di mettere a ferro e fuoco tutta l'Italia dal Vesuvio in giù tra il 73 e il 71 avanti Cristo - wikipedia, sempre sia lodata. Ma prima ancora dovettero farci i conti pure Mosè ed Aronne, che un bel giorno si ritrovarono ad affrontare i leviti Core, Datan, Abiram e On, sobillatori di una rivolta alimentata da altri 250 tra gli Israeliti più influenti nella comunità (Numeri, capitoli 16 e 17).
Core e gli altri "incazzados" - di questi tempi va di moda utilizzare suoni spagnoleggianti per definire chi protesta...-  ritengono ingiusto che solo Mosè e i discendenti di Aronne facciano i sacerdoti ("Perché pretendete di essere superiori a tutto il resto del popolo del Signore?"), ma soprattutto si lamentano per gli stenti che continuano a patire nel loro peregrinare attraverso il deserto. A questo proposito, accusando Mosè, rigirano l'espressione già usata da Giosuè e Caleb descrivendo la Terra Promessa: "Tu ci hai fatto lasciare una terra dove scorre latte e miele (riferendosi all'Egitto) [...] e non ci hai per nulla condotti in una terra dove scorre latte e miele (riferendosi al deserto, decisamente diverso dalla Terra Promessa)". Comincio a sospettare che il libro dei Numeri sia sponsorizzato dal signor Ambrosoli, quello delle caramelle.
Sarà Dio stesso a dimostrare il giorno successivo chi sta dalla parte del giusto, accettando o meno l'offerta d'incenso consumata sui bracieri dai sacerdoti "autorizzati" e dagli aspiranti tali in contemporanea. Si annuncia un mezzogiorno di fuoco. Letteralmente.
Quando l'incenso inizia a sfrigolare sui bracieri, alla presenza di tutto il popolo, Mosè invoca Dio di rendere manifesta la sua condanna contro i rivoltosi. Basta chiedere. "Appena Mosè ebbe finito di parlare, il suolo si spaccò sotto i piedi di Datan e Abiram. La terra si aprì e li inghiottì insieme con le loro famiglie; sprofondarono pure i sostenitori di Core e tutti i loro beni. Quegli uomini e tutta la loro banda piombarono vivi nella voragine. La terra li ricoprì, e scomparvero dall'assemblea del popolo d'Israele. [...] Divampò una fiamma mandata dal Signore e bruciò vivi i 250 uomini che presentavano l'incenso sui bracieri".
A me il verdetto divino pare sufficientemente chiaro. Qualcuno, però, evidentemente non ha ben capito, e ha la geniale idea di accusare nuovamente Mosè e Aronne: "Voi avete fatto morire il popolo del Signore!". Di fronte a tale capriccio, Tatadìo non può esimersi dall'assestare l'ennesimo, sonoro scapaccione ai suoi figli monelli: "il numero delle vittime del flagello fu di 14.700, senza contare i sostenitori di Core morti prima". Saranno stati pure "incazzados", ma Dio si conferma il più "incazzado" di tutti. E meno male che Aronne, su invito di Mosè, corre ad effettuare in tutta fretta un rito di purificazione per placare l'ira del Signore. Il metodo educativo delle punizioni corporali, comunque, finora non ha portato grandi risultati. Tatadìo, che sia il caso di provare qualcos'altro, una buona volta, o li vogliamo ammazzare proprio tutti?

sabato 8 ottobre 2011

Se lavori, ti tirano le pietre

La canzone di Pieretti e Gianco
è ispirata alla legge di Mosè?
Finora non ci avevo mai fatto caso, ma la canzone Pietre evidenzia una chiara ispirazione biblica. "Se sei cattivo, ti tirano le pietre" - il secondo verso della prima strofa - è un toccante riferimento al triste destino dell'anonimo primo bestemmiatore, di cui abbiamo letto nel Levitico.
L'attacco della seconda strofa, invece, è un epitaffio in memoria del malcapitato e sempre anonimo (si dice il peccato, ma non il peccatore...) "raccoglitore di legna", protagonista suo malgrado del quindicesimo capitolo dei Numeri.
"Se lavori, ti tirano le pietre", canta Gian Pieretti; ed è proprio quello che accade a questo israelita che ha la pessima idea di mettersi a raccattare ramoscelli nel giorno proibito, il sabato. Anche andare per legna, così come andare per manna, è infatti ritenuta un'attività incompatibile con l'obbligo di riposo assoluto e preghiera imposto per l'intera giornata consacrata a Dio. Fa niente se all'improvviso ti viene voglia di cuocerti una braciola, di scaldarti con un fuocherello o di costruire una fionda per tuo figlio: dovevi pensarci venerdì. Se lo fai di sabato e ti beccano, vieni portato al cospetto di Mosè e Aronne, che inevitabilmente chiedono al Signore come devi essere punito.
"Quell'uomo deve essere messo a morte! - ordina Dio, senza pensarci due volte -. Tutta la comunità si raduni fuori dall'accampamento e gli scagli sassi, fino a farlo morire". Nessuno si stupisce, nessuno batte ciglio. La condanna è eseguita immediatamente. Vuoi vedere che Tatadìo, a furia di castighi esemplari, ha finalmente ottenuto l'obbedienza totale e incondizionata dei suoi figlioli una volta per tutte?
Dato che c'è, il Signore approfitta dell'occasione per dettare anche una fondamentale prescrizione in fatto di abbigliamento: "Voi e i vostri discendenti metterete frange con un filo viola ai bordi dei vostri vestiti. Porterete vestiti con frange, e quando le guarderete, ricorderete tutti i miei comandamenti".
Capelli lunghi e vestiti con le frange: non c'è alcun dubbio, Dio ha gusti estetici da fine anni Sessanta. Perfettamente coerenti, del resto, con le sue preferenze musicali: "E il giorno che vorrai / difenderti vedrai / che tante pietre in faccia prenderai! / Sarà così / finché vivrai / sarà così..." (Pietre, Gian Pieretti e Ricky Gianco, 1967).

mercoledì 5 ottobre 2011

Quella sporca dozzina

Mosè manda 12 capi tribù
ad esplorare la Terra Promessa
Il Signore ordina a Mosè di inviare una squadra scelta in avanscoperta nella Terra Promessa (Numeri, capitolo 13). Per comporre il manipolo di arditi, il patriarca sceglie un uomo tra i capi di ogni tribù.
A leggere i nomi  - al solito decisamente bizzarri - la Sporca Dozzina potrebbe benissimo essere un gruppo di spietati terroristi, una squadra di trapezisti del Circo Togni o una formazione  di giovani giocatori mediorientali pescati a caso tra le Nuove Leve di Pro Evolution Soccer. La truppa è composta da Sammua, Safat, Caleb, Igheal, Osea, Palti, Gaddiel, Gaddi, Ammiel, Setur, Nacbi, Gheuel. Personalmente, do credito all'ipotesi dei trapezisti. Nell'occasione, Mosè d'autorità cambia il nome di Osea, che d'ora in avanti diverrà Giosuè - un editor serio farebbe notare all'autore che in verità Giosuè ci è già stato presentato con questo nome nell'Esodo, ma ormai siamo abituati a simili incongruenze...
I nostri eroi esplorano per quaranta giorni il territorio indicato da Dio, ma al loro ritorno forniscono un resoconto contrastante. Mentre infatti Giosuè e Caleb sottolineano gli aspetti positivi ("E' una terra dove scorre latte e miele"), gli altri si dimostrano allarmati e timorosi di non avere la forza per la conquista ("E' una terra che fa morire quelli che vi abitano, e laggiù abbiamo visto tutta gente alta di statura, anche i giganti discendenti da Anak. Di fronte a loro sembravamo formiche").
Come prevedibile, il popolo attacca con nuovi lamenti e proteste nei confronti di Dio, Mosè e Aronne; e quando Giosuè e Caleb tentano di convincere gli Israeliti a partire comunque all'attacco con fiducia, perché il Signore è con loro, per tutta risposta la gente prende dei sassi e si prepara a lapidarli.
Ahi ahi, un altro brutto capriccio dei figli Israeliti. Puntuale, arriva Tatadìo con le sue punizioni esemplari: "Morirete tutti in questo deserto[...]. Giuro che non entrerete nella terra dove avevo promesso di farvi abitare. Gli unici ad entrarvi saranno Caleb e Giosuè [...]. I vostri figli saranno nomadi per quarant'anni nel deserto, dietro ai loro greggi. Porteranno le conseguenze delle vostre infedeltà finché l'ultimo di voi non sarà morto. Avete impiegato quaranta giorni, per compiere l'esplorazione: pagherete le conseguenze dei vostri peccati per quarant'anni. A ogni giorno corrisponderà un anno. Imparerete così che cosa vuol dire opporsi a me". Intransigente ma mai eccessiva: questa sì che è una tata coi fiocchi!
Si mette male per la Sporca Dozzina. Dieci su dodici muoiono all'improvviso, come fulminati; dopo di loro, tutti gli adulti dai vent'anni in su sono condannati a morire uno dopo l'altro nei successivi quarant'anni. Ma non era meglio mettere su una squadra di trapezisti?

giovedì 22 settembre 2011

Quando ci vuole, ci vuole/3

Miriam voleva svergognare Mosè
ma alla fine è svergognata da Dio
Tatadìo, la tata più severa della storia, ha in serbo per noi un nuovo esempio di come va castigato un figlio monello se si vuole educarlo correttamente.
Dopo le prime due puntate dello special "Libro dei Numeri" (se ve le siete perse, le trovate in reading-streaming qui e qui), la serie si completa con il terzo ed ultimo episodio, dal titolo "Chi la fa, l'aspetti".
La coppia di pargoli terribili da correggere, in questo caso, ha un'ottantina d'anni: stiamo infatti parlando di Aronne e Miriam, i fratelli di Mosè. E' possibile rieducare anche bambini così cresciutelli, dopo decenni di cattive abitudini? Probabilmente la missione sarebbe quasi impossibile per chiunque. Chiunque, a patto che non si chiami Dio - anzi, Tatadìo.
Miriam e Aronne sono un po' gelosi della predilezione dimostrata dal Signore nei confronti di Mosè. Iniziano dunque a criticarlo apertamente per screditarlo agli occhi degli israeliti: il pretesto viene dal matrimonio di Mosè con una donna etiope, che evidentemente va contro la legge "moglie e buoi dei paesi tuoi".
Due contro uno, però, non vale: un'importante lezione di vita che Tatadìo farà imparare una volta per tutte ai due pestiferi fratelli. Il Signore li convoca tutti e tre nella sua tenda e rimprovera aspramente Miriam ed Aronne davanti a Mosè: "Come osate criticare il mio servo?". Quindi se ne va sdegnato, non prima di avere messo in atto la sua terribile punizione: sulla pelle di Miriam sono comparse le macchie bianche della lebbra.
Aronne, come sempre coraggioso e pronto ad assumersi le sue responsabilità, frigna subito con Mosè: "Siamo colpevoli: ma non punirci per il peccato che abbiamo avuto la pazzia di commettere. Miriam non diventi come un bambino nato morto, con la carne già divorata per metà appena dato alla luce!". Stupisce che ancora una volta, dopo il pasticciaccio brutto del Vitello d'OroAronne la faccia franca: Dio, nella sua severità, è comunque disposto a chiudere un occhio quando il peccatore è un uomo - soprattutto se quest'uomo si chiama Aronne... - mentre si conferma inflessibile con le donne.
Mosè, che in fin dei conti è un bonaccione, invoca il perdono divino e la guarigione per la sorella. La risposta di Dio ci fornisce un quadro illuminante della sottomissione femminile nella società dell'epoca: "Se suo padre le avesse sputato in faccia, resterebbe coperta di vergogna per una settimana! Ebbene, sia cacciata fuori dall'accampamento per una settimana!". Chi la fa l'aspetti, cara Miriam: tu volevi gettare fango su Mosè, quindi a tua volta ora vieni disonorata pubblicamente. Ci manca solo l'Ha-ha! di Nelson Muntz.
Tatadìo colpisce ancora: quando ci vuole, ci vuole (fine... almeno per ora).
Qualcosa mi dice alla prima occasione buona il Signore tornerà a castigare il suo popolo birbantello. Nell'attesa, se vi va, rispondete al sondaggio che trovate sulla colonna di destra: quale sistema educativo ritenete più valido? Chi è la vostra tata ideale?

Quando ci vuole, ci vuole/2

Mai lamentarsi del rancio,
altrimenti il Generale s'incazza...
Abbiamo appena visto come il Signore - che nelle sue vesti di educatore soprannomino amichevolmente Tatadìo - si sia nuovamente imposto con autorità nel punire i suoi figli israeliti. Che abbiano capito la lezione di non fare più capricci? Ahiloro, pare proprio di no.
Passano pochi giorni, infatti, e il popolo eletto in marcia, istigato da alcuni stranieri di passaggio, trova da ridire sul menu poco vario: "Avessimo almeno un po' di carne! Vi ricordate in Egitto? Senza spendere un soldo avevamo pesce, angurie, meloni, porri, cipolle e aglio! Qui non c'è più niente, e siamo già deperiti. Non si vede altro che manna!".
Ogni recluta sa bene che, durante le ispezioni del Generale, il rancio deve essere sempre e comunque lodato come "ottimo e abbondante per la truppa". Evidentemente, gli israeliti hanno preferito il servizio civile alla naja, e ora ne pagano le inevitabili conseguenze. A nulla vale il tentativo di intercessione del sergente Mosè, che stanco di ricevere accuse, insulti e lamentele arriva ad invocare Dio di ucciderlo: "Non ce la faccio, io da solo, a portare il peso di tutto questo popolo: è troppo per me! Se vuoi proprio trattarmi in questo modo, fammi morire! Allora manifesterai la tua bontà verso di me".
Tatadìo stavolta ha in serbo per il suo popolo capriccioso una sorta di contrappasso dantesco ante litteram: "Avrete carne da mangiare. Ne avrete non soltanto per un giorno o due, oppure per cinque o dieci o venti giorni, ma per un mese intero, finché ne avrete nausea, tanto che vi uscirà dal naso! Così sarete puniti".
Detto fatto, sull'accampamento iniziano a piovere quaglie: "ce n'erano attorno al campo per la distanza di un giorno di cammino in tutte le direzioni, e coprivano il suolo fino a mucchi di circa un metro. Per raccogliere le quaglie il popolo impiegò quel giorno, la notte e tutto il giorno seguente. Chi aveva raccolto meno quaglie di tutti, ne aveva migliaia di chili".
Gli israeliti mangiano più che a sazietà, iniziano anche a fare seccare le quaglie al sole per poterle conservare più a lungo, ma il castigo divino è dietro l'angolo: "Mentre avevano ancora quella carne sotto i denti, prima di finire di masticarla, il Signore si riempì di sdegno contro di loro e li colpì con una terribile epidemia". Credo che il termine tecnico sia "cacarella fulminante". Del resto, la regola di Tatadìo è ormai chiara a tutti e non ammette deroghe: quando ci vuole, ci vuole... (continua)

Quando ci vuole, ci vuole/1

Dio predilige le punizioni corporali
Di questi tempi, tra i miei amici, piovono bambini. Diventare genitore è una bella responsabilità: qual è il metodo giusto per educare i figli? Lasciate perdere la gentile fermezza di Tatalucia (è evidente che si deve scrivere tuttoattaccato, questo è il suo nome: sfido chiunque a dimostrarmi il contrario) o l'affettuosa empatia di Tatadriana. Se ancora ce ne fosse bisogno, Dio nel libro dei Numeri (capitoli 11-12) ci illustra tre nuovi esempi del suo metodo pedagogico. Altro che rifiuto categorico delle punizioni corporali perché inutili e dannose: tra il bastone e la carota, il Signore predilige decisamente il primo - per una piccola antologia sul tema, guardate pure qui. E quando bastona, picchia duro.
Dopo due anni e due mesi di peregrinazione nel deserto, Dio decide che finalmente è giunta l'ora per il suo popolo di dirigersi verso l'agognata terra promessa. Mosè nomina come capo-spedizione Obab, figlio di suo suocero Ietro, e gli israeliti si mettono in marcia.
Cammina cammina, giungono dalle parti di Tabera. Qui - recita il testo biblico - "si lamentavano senza motivo contro il Signore". Ora, dopo due anni e due mesi di stenti nel deserto, direi che anch'io mi sarei lagnato. Probabilmente molto prima. E probabilmente molto di più. Ma il capriccio non è bene accetto a Tatadìo. Là dove Tatalucia avrebbe suggerito di ignorare, il nostro onnipotente puericultore decide di intervenire con un cenno di rimprovero: "Al sentirli, il Signore si riempì di sdegno contro di loro e provocò un incendio, che devastò una zona ai lati dell'accampamento. Il popolo si mise a gridare e chiamò in aiuto Mosè, che pregò il Signore per loro, e il fuoco si spense".
Quando ci vuole, ci vuole...(continua)

mercoledì 7 settembre 2011

Meglio del Billionaire

Luci dorate all'apertura del Billionaire,
oro vero per inaugurare l'altare di Dio 
Per l'inaugurazione del proprio altare, Dio fa le cose in grande. Quanto a lusso, il party per il Grand Opening della tenda del Signore, descritto nel capitolo 7 dei Numeri, non ha nulla da invidiare a quello che apre la stagione estiva del Billionaire.
Per dodici giorni consecutivi, assecondando il volere espresso da Dio a Mosè, ogni tribù d'Israele a turno porta all'altare i propri doni per la cerimonia.
La coreografia alla fine è composta da 12 piatti e 12 vassoi in argento, più 12 coppe d'oro piene d'incenso. Ogni coppa pesa 1 etto giusto giusto, quindi in totale abbiamo sull'altare 1.200 grammi d'oro massiccio; ciascun piatto pesa invece 1 chilo e 3 etti, ogni vassoio 7 etti, per un totale di 24 chili d'argento.
Il carniere delle vittime per i sacrifici comprende 12 tori, 12 montoni, 12 agnelli, 12 capri, più altri 24 tori, 60 montoni, 60 capri e 60 agnelli di un anno per il banchetto sacro.
Non è certo lasciata al caso la disposizione delle luci: le 7 lampade ad olio per il candelabro sono posizionate in maniera da illuminare la parte anteriore, rispecchiandosi così sull'oro battuto.
Quanto agli effetti speciali, ci pensa Dio in persona: la sua voce, mentre parla a Mosè, sembra provenire dalle statue dei due cherubini posti sul coperchio dell'arca; una nube di fumo si posa sull'Abitazione sacra e si illumina magicamente di notte, rimanendo poi sopra la tenda fino al momento in cui Dio decide di far trasferire tutto l'accampamento. Appena la nube si solleva, infatti, la comunità d'Israele si deve riunire in tutta fretta, sbaraccare e mettersi in marcia allo squillo di due trombe d'argento seguendo la nube; quando questa ridiscende verso terra indica il nuovo punto per accamparsi.
Certo che un Billionaire itinerante lungo la Costa Smeralda sarebbe un'attrazione niente male: Flavio Briatore e Lele Mora prendano appunti.

venerdì 26 agosto 2011

Holy Rasta

I capelli lunghi sono il segno
di chi si consacra a Dio
A Dio piacciono i capelloni, e non è una novità. Tutte le rappresentazioni iconografiche propongono Gesù - il Figlio Unigenito - immediatamente riconoscibile per lo stile scanzonatamente trasandato, degno di un hippie del flower-power. Lo stesso Dio Padre è sempre rappresentato con un groviglio di barba e capelli canuti da fare invidia a Capitan Findus.
Già nel Levitico il Signore aveva espressamente raccomandato agi israeliti di non eccedere con forbici e rasoio. Ora, nel sesto capitolo dei Numeri, l'astensione dal taglio dei capelli diventa l'elemento che distingue le persone che decidono di consacrarsi a Dio per un periodo determinato di tempo: nel testo biblico, tali uomini e donne vengono indicati come nazirei (vocabolo a me prima del tutto ignoto, ma che senza dubbio avrei creduto si riferisse a nazisti colpevoli di un crimine).
Il comandamento per un nazireo è chiarissimo e inequivocabile: "Egli è consacrato al servizio del Signore: dovrà quindi lasciar crescere liberamente i capelli fino al termine del periodo fissato. [...] Egli appartiene al Signore e la sua capigliatura ne è il segno".
Ci può essere un imprevisto che in un solo attimo compromette mesi o addirittura anni di lunghissime ciocche fluenti, di barbe aggrovigliate come una foresta di mangrovie, di rigogliose cascate boccolute, di chilometriche"trecce forzate": la morte di qualcuno in presenza del nazireo. Ogni uomo o donna che si consacra a Dio, infatti, non deve avvicinarsi a nessun cadavere, compresi quelli della madre, del padre, di un fratello o di una sorella: questo lo renderebbe immediatamente impuro. Così - spiega il Signore - "se qualcuno muore improvvisamente accanto a lui, la sua capigliatura, segno della sua consacrazione, resta profanata. Dopo sette giorni egli dovrà compiere un rito di purificazione e radersi completamente il capo".
Segue l'immancabile sgozzamento di piccioni e agnelli. A quel punto, sarà come ripassare dal Via! a Monopoli: "ricomincerà da capo il periodo della sua consacrazione come nazireo. Il periodo precedente non conterà, perché è stato interrotto e profanato".
Solo alla fine del periodo di consacrazione predefinito, dopo il doveroso sacrificio rituale di svariati animali, vino, farina e focacce all'olio non lievitate, i capelli potranno essere definitivamente tagliati e il voto del nazireo risulterà compiuto e bene accetto a Dio.
Oltre a quelle del crine forzatamente lungo e della lontananza obbligatoria dai cadaveri, il Signore indica solo un'altra regola per chi si vuole consacrare a lui: "Non dovrà bere né vino, né alcolici, né birra, né bevande prodotte con il succo dell'uva, anzi non potrà mangiare né uva fresca né uva passa. Per tutta la durata della promessa non dovrà mangiare niente di quel che proviene dalla vite, nemmeno acini acerbi o bucce d'uva".
Niente forbici, niente cadaveri, niente uva e derivati. Tutto chiaro. Nessun problema, però, per quanto riguarda la marijuana e i suoi derivati. E se i rasta jamaicani fossero in realtà israeliti molto abbronzati e molto osservanti?

mercoledì 17 agosto 2011

Gelosia, gelosia canaglia

Meglio tenere sotto controllo
la gelosia di un marito tradito...
Un marito tradito è come un toro ferito: le sue corna diventano armi potenzialmente letali. Forse proprio per evitare reazioni fatali e incontrollabili, nel libro dei Numeri (capitolo 5) Dio impartisce a Mosè disposizioni precise su come si debba comportare un marito che sospetti di essere stato disonorato dalla moglie senza averne le prove.
Come capire se la moglie lo ha davvero tradito di nascosto, o se al contrario lei è innocente e il marito è vittima di un'immotivata gelosia canaglia? Per prima cosa, ovviamente, si porta la donna al cospetto del sacerdote-giudice, senza dimenticare l'offerta di due chili di farina d'orzo. Il religioso provvede a togliere il velo alla presunta adultera, e tenendo in in mano un bicchiere di acqua amara le fa pronunciare un giuramento di automaledizione: "Se non è vero che un altro uomo ha avuto rapporti con te, quest'acqua amara non ti farà alcun male. Ma sarà diversamente se ti sei davvero disonorata - la ammonisce -. Il Signore ti castighi: ti renda sterile e faccia gonfiare il tuo ventre; i tuoi concittadini ti portino come esempio quando scagliano maledizioni! Quest'acqua di maledizione penetri dentro i tuoi intestini, faccia gonfiare il tuo ventre e ti renda sterile!".
"Amen, avvenga come hai detto!", risponde la donna, e poi si beve l'acqua amara, dove nel frattempo è stato pure immerso un foglio che riporta lo stesso giuramento di maledizione in forma scritta.
Ora, non voglio mettere in dubbio l'efficacia del rito e dell'anatema. Temo però che talvolta si sia verificato un effetto collaterale imprevisto.
Si dà infatti il caso che alcune donne, dopo un tradimento realmente consumato, abbiano sì accusato un rigonfiamento del ventre; questo ingrossamento evidente e progressivo, tuttavia, non ha avuto come esito la sterilità invocata dalla maledizione sacerdotale, ma la nascita di un bel bimbetto, da taluni additato come figlio di buonadonna. Appellativo poco garbato - siamo d'accordo - ma nella circostanza tecnicamente appropriato.

mercoledì 10 agosto 2011

Avanti, Marsch!

Gli israeliti si accampavano
come un esercito itinerante
Chissà se il libro dei Numeri ci darà qualche dritta per il Superenalotto. Sperare è lecito. Tanto per cominciare, nei primi capitoli (1-4) ci fornisce un quadro dettagliato di come si è organizzato il popolo d'Israele, guidato da Mosè e Aronne, durante la traversata nel deserto verso la Terra Promessa.
Di fatto, siamo alle prese con un esercito in piena regola, suddiviso in 12 tribù. Ancora una volta, ci viene presentato un elenco di nomi insoliti e curiosi, sia per quanto riguarda le tribù (di Ruben, Simeone, Giuda, Issacar, Zabulon, Efraim, Manasse, Beniamino, Dan, Aser, Gad, Neftali), sia per quanto riguarda i capifamiglia: già mi immagino, ad esempio, come da piccolo il povero Sedeur sia stato impietosamente preso per il culo - è proprio il caso di dirlo - dagli amichetti (i bimbi sanno essere crudeli); probabile che Paghiel offrisse sempre un giro di bianchi al bar; Pedasur doveva emanare un odorino niente male dai sandali; Chelon andava pazzo per il granchio fritto; Ammisaddai e Zurisaddai venivano continuamente richiamati perché si attardavano lungo il cammino.
Dio ordina a Mosè di fare un censimento dettagliato: in totale i maschi adulti (dai vent'anni in su) abili e arruolati per l'esercito del Signore sono 603.550. Per gli amanti delle statistiche, la tribù più numerosa è quella di Giuda con 74.600 (occhio: abbondano i potenziali traditori), mentre la più esigua è quella di Manasse con 32.200 (saranno anche bravi a menare le loro grandi mani, ma evidentemente hanno qualche problemino ad utilizzare con successo il pisello).
Ogni gruppo ha una posizione precisa assegnata nell'accampamento: a est la tribù di Giuda, che sta anche in testa al gruppo durante la marcia; a sud la tribù di Ruben, seconda nel plotone; la tribù di Efraim (accampata ad ovest) e quella di Dan (a nord) chiudono il gruppo in marcia.
Se queste 12 tribù costituiscono l'armata divina, c'è in aggiunta un'altra tribù speciale, che il Signore ordina di censire a parte: è quella di Levi. I leviti si devono accampare al centro, nella zona più protetta, e anche durante la marcia sono circondate dalle altre tribù. Il motivo di tanta protezione sta nel loro compito. Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, infatti, i membri di questa tribù non si occupano di fornire pantaloni blu a tutti gli altri, ma sono incaricati di custodire, predisporre e trasportare tutto il materiale per i servizi liturgici. In pratica, abbiamo un'intera tribù (22.300 maschi dall'anno di vita in su) di cappellani militari, alle dirette dipendenze di Aronne e dei suoi figli, che sono i sacerdoti. I "sacrestani" leviti sono così numerosi che devono essere a loro volta divisi in tre diverse famiglie (originate dai tre figli di Levi) con compiti ben precisi: i figli di Gherson (7.500) si occupano della Tenda per l'Incontro con Dio, dei relativi teli e paramenti; i figli di Keat (8.600) si occupano dell'Arca, del candelabro, degli altari e degli oggetti per il culto; i figli di Merari (6.200) si occupano di assi, corde, picchetti, basamenti e colonne.
Va detto, per dovere di cronaca, che in servizio effettivo sono solo i leviti in età compresa tra i 30 e i 50 anni (8.580). Dio fa censire anche i primogeniti: in tutto, dal mese di vita in su, nell'accampamento se ne contano 22.273, più 273 primogeniti leviti (anche loro contati a parte).
La crisi economica e finanziaria di cui ogni giorno, di questi tempi, sentiamo parlare ovunque, mi fa sorgere una riflessione spontanea (e poi dicono che i media non condizionano il tuo modo di pensare...): se tra gli israeliti dell'epoca ci fosse stato un sistema pensionistico, il loro bilancio statale sarebbe stato incasinato peggio del nostro. Ed è tutto dire.

martedì 2 agosto 2011

Tanti pesi e tante misure

L'equità non è una caratteristica
della legge del Levitico
La legge di Dio continua a rivelarsi imprevedibile, alternando disposizioni apparentemente sensate e condivisibili ad altre che lasciano basiti per iniquità e incomprensibilità (ma tanto, ormai, ci siamo abituati). Come il resto di questo libro - diciamocelo francamente, tutt'altro che appassionante - anche gli ultimi capitoli del Levitico sono caratterizzati da una caotica accozzaglia di prescrizioni.
Nel capitolo 25, il Signore raccomanda di lasciare riposare le terre coltivate per un anno intero ogni sette: non si deve seminare nulla, ma raccogliere solo ciò che il terreno produce spontaneamente. Vallo a spiegare all'assemblea di Confagricoltura, e vedi se riesci ad evitare la lapidazione.
Un anno ancora più speciale è quello che ricorre ogni volta che si compiono sette cicli di sette anni: ogni cinquantesimo anno, infatti, viene indetto il Giubileo, ovvero l'Anno della Liberazione. Anche per quell'anno, e che ve lo dico affa', le coltivazioni sono bandite; in più, ogni terra che precedentemente sia stata oggetto di compravendita, può essere riscattata dal proprietario originario ad un prezzo predefinito ed equo; lo stesso vale per le case, a patto che non siano situate in città fortificate (in questo caso, non si capisce perché, restano a chi le ha comprate). Il concetto è che la terra e le abitazioni non sono proprietà delle persone: appartengono a Dio, che le ha concesse originariamente ad una famiglia, la quale a sua volta può cederla ad altri, ma solo temporaneamente, perché ad ogni Giubileo è come se tutto si riazzerasse. Altro giro, altra corsa.
L'altalena fra giustizia e ingiustizia prosegue serrata. Registriamo con piacere che la schiavitù è di fatto proibita tra gli israeliti: "Quando uno dei vostri connazionali, caduto in miseria, dovrà vendersi a voi come schiavo, non fatelo lavorare come schiavo, ma trattatelo come un salariato [...] fino all'anno del Giubileo. Allora sarà reso libero, insieme con i suoi figli; rientrerà nella sua famiglia e ritornerà in possesso dei suoi terreni". Peccato che non ci sia alcuno scrupolo o rimorso di coscienza civile per quanto riguarda i forestieri, anzi: "Se avete bisogno di schiavi o di schiave, procuratevene presso le popolazioni straniere che vi circondano. Potrete anche acquistarne tra i figli degli stranieri che risiedono nel vostro paese o tra i membri delle loro famiglie nati sul posto. Essi vi apparterranno. Più tardi, li lascerete in eredità ai vostri figli, perché essi ne abbiano la proprietà a loro volta. Voi potrete conservarli come schiavi per sempre". Gli uomini, all'occhio di Dio, non sono di certo tutti uguali.
Allo stesso modo, poco oltre, se da un lato siamo piacevolmente sorpresi nel sentire il Signore smentire lo stereotipo dell'ebreo usuraio ("Quando uno è caduto in miseria e non può tener fede ai suoi impegni nei vostri riguardi, voi dovete venirgli in aiuto. Agirete così anche verso uno straniero che abita nella vostra terra. Non gli chiederete interessi di nessun genere"), dall'altro nei paragrafi conclusivi scopriamo che i sacerdoti, al contrario, sono quasi istigati allo strozzinaggio. Se infatti un campo, una casa, una bestia o una persona sono stati consacrati al Signore, cioè ceduti al sacerdote custode del tempio perché ne disponga come meglio crede, il proprietario originario per riscattarli deve pagare un quinto in più della somma fissata dal sacerdote, che applica dunque una modica cresta del 20%. Una vera e propria IVA ante litteram, alla faccia del tasso agevolato. A Dio, tramite il sacerdote, spetta anche un decimo di tutti i raccolti e di tutto il bestiame. E noi che storciamo il naso per l'8 per mille...
Il Levitico, terzo testo biblico, è così compiuto. Vediamo cosa ci riserverà il libro dei Numeri

mercoledì 27 luglio 2011

Am(mazz)atevi l'un l'altro

Il primo bestemmiatore fu lapidato
Che il Dio dell'Antico Testamento sia un tantino permaloso, è ormai un fatto assodato: fin dai tempi di Adamo ed Eva, infatti, il Signore si è dimostrato severissimo - spesso spietato - nel punire chi ha disatteso le sue disposizioni.
C'è appena il tempo di allentare un po' la tensione nel capitolo 23 del Levitico, nel quale Dio presenta l'elenco delle feste in cui ci si deve astenere dal lavoro: riposo assoluto e celebrazioni religiose sono fissate dal calendario per ogni sabato, oltre alle grandi festività che cominciano con la Pasqua e il giorno dei Pani senza Lievito (la Pasquetta dell'epoca). Festa anche per il Primo Covone (per l'occasione, oltre al solito agnello, finisce bruciato nel fuoco sacro anche un litro e mezzo di vino), la Mietitura, il Giorno del Ricordo, il Grande Giorno del Perdono dei Peccati (coincide con il Capodanno), e la Festa delle Capanne una sorta di campeggio di massa: per una settimana, tutti tornano a vivere nelle capanne, come i primi israeliti nel deserto).
Con il capitolo 24, però, ecco che le feste sono subito dimenticate e torna ad imporsi il Dio inflessibile e vendicativo, che proprio in questa occasione detta a Mosè la famosa legge del taglione: "Occhio per occhio, dente per dente".
Il casus destinato a costituire il precedente giuridico di riferimento per le generazioni future è quello del disgraziato e anonimo figlio della donna israelita chiamata Solemit. Il giovinotto, nel pieno di una lite, si lascia scappare una sciaguratissima bestemmia contro Dio (l'autore biblico resta opportunamente sul vago). Il blasfemo viene subito condotto da Mosè per essere sottoposto al giudizio del Signore, e non c'è bisogno di ascoltare avvocati o testimoni per giungere al verdetto inappellabile: "Chiunque insulta il nome del Signore deve essere messo a morte. Tutta l'assemblea d'Israele lo ucciderà gettandogli addosso pietre". Dio evidentemente quel giorno si sente ispirato in fatto di innovazioni giuridiche, quindi dispone subito anche il comma bis e il comma ter della nuova norma: "Se un uomo uccide un'altra persona, deve essere messo a morte. Se un uomo ferisce un'altra persona, gli si infliggerà la stessa ferita: frattura per frattura, occhio per occhio, dente per dente; gli si renderà il male che ha fatto all'altro". A voler fare i cavillosi, queste due aggiunte non sembrano sensatamente connesse alla norma sulla bestemmia da cui derivano, ma nessuno dei presenti ha il coraggio di alzarsi e dire "Obiezione, vostro onore!". C'è da capirli.
Preso alla lettera, il testo fa davvero impressione. Difficile scorgere differenze sostanziali tra la legge divina e la legge mafiosa che impone la faida, la vendetta incrociata tra famiglie per i delitti di sangue: "Ammazzatevi l'un l'altro!". Fortunatamente, qualche secolo più tardi, a un tizio particolarmente ispirato è bastato togliere solo una sillaba per cambiare totalmente la prospettiva: "Amatevi l'un l'altro!". Non so a voi, ma a me suona molto meglio.

venerdì 22 luglio 2011

Il Prete Bello

Puri e belli: Dio, i sacerdoti, li vuole così
Come abbiamo già avuto modo di vedere (in particolare qui e qui), tra i primi israeliti il ruolo del sacerdote, assieme agli onori, comporta una serie di oneri ed 'effetti collaterali' non indifferenti.
Non tutti sono degni di servire Dio, anzi: il Signore si sceglie i suoi uomini di fiducia attraverso una cernita accuratissima, che per alcuni versi ricorda la selezione eugenetica della 'pura razza ariana' perseguita millenni dopo da un certo Hitler. La Storia sa essere crudelmente ironica.
Nel capitolo 21 del Levitico Dio è chiarissimo al riguardo: "Nelle future generazioni, nessuno dei tuoi discendenti colpito da un difetto fisico sarà autorizzato ad avvicinarsi all'altare per offrirmi un sacrificio. Nessun infermo è ammesso a questo servizio: né cieco, né zoppo, né un uomo sfigurato o deforme, né un uomo colpito da una frattura a una gamba o a un braccio, né un gobbo, né un nano, né chi abbia una macchia nell'occhio o la scabbia o piaghe purulente o sia difettoso nei genitali".
A dirla con Goffredo Parise, insomma, il Signore esige per forza un Prete Bello, che se poi ha la fortuna di divenire Sommo Sacerdote è anche obbligato a preservare la purezza della sua genealogia: "Dovrà scegliere per moglie una ragazza della sua parentela, per non introdurre una discendenza profana nella sua famiglia". Un monito specifico riguarda la figlia del sacerdote, che non può cullare il sogno di arricchirsi con l'arte più antica del mondo: se si prostituisce, infatti, deve essere bruciata viva. Il gioco non vale la candela che appiccherà quel rogo.
Coerentemente, il sacerdote puro dovrà sacrificare sempre e solo animali altrettanto puri. Ecco perché nel capitolo 22 Dio ricorda che le bestiole da immolare sull'altare devono essere scelte tra i bovini, le capre o le pecore, rigorosamente maschi e senza difetti: "Non offrite dunque nessun animale cieco, storpio, mutilato, colpito da verruche o da una malattia della pelle [...]. Non offrite mai un animale che abbia i testicoli ammaccati, o schiacciati o strappati o tagliati".
Sarei curioso di capire come si riconosce tecnicamente l'ammaccatura di un testicolo, ma credo che rimarrò con il dubbio.